giovedì 8 maggio 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli
Giudizio abbreviato – testimonianza indiretta – inutilizzabilità – limiti – rito condizionato – incertezza sulla fonte [art. 195 c.p.p.]
Giudizio abbrevito – rinnovazione dell’istruttoria in appello – legittimità – limiti [L. 479/1999]
Violenza sessuale – procedibilità d’ufficio - incaricato di pubblico servizio – rapporto di connessione – accertamento – necessità [art. 609 bis c.p.]
Nel giudizio abbreviato, la testimonianza indiretta è inutilizzabile solo se la parte ha condizionato la scelta del rito all'audizione del testimone indiretto e se, nonostante l'escussione, sia rimasta non individuata la fonte dell'informazione.
Nel giudizio abbreviato, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello, d'ufficio o su istanza di parte, è possibile, allorché l'integrazione sia assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti.
Affinchè il reato di violenza sessuale sia perseguibile d'ufficio, in quanto commesso da un incaricato di un pubblico servizio, occorre accertare il rapporto di connessione tra il servizio ed il fatto.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 29 gennaio – 12 marzo 2008, n. 11100
(Presidente Vitalone – Relatore Petti)
Fatto
Con sentenza del 30 gennaio del 2007, la corte d'appello di Firenze, in parziale riforma di quella pronunciata con il rito abbreviato dal giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Prato, riduceva a mesi dieci di reclusione la pena inflitta a G. M., quale responsabile del delitto di cui agli artt. 521 e 542 c.p. (ora 609 bis e 609 septies) per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di autista e controllore della Cap (Cooperativa Autolinee Pubbliche) e, quindi, d'incaricato di un pubblico servizio, compiuto atti sessuali nei confronti di O. G. che all'epoca aveva 17 anni ed era costretta a servirsi di quell'automezzo per raggiungere la scuola, atti sessuali consistiti in apprezzamenti fisici volgari ed in toccamenti delle labbra con la lingua. Fatti commessi in Prato fino al 13 gennaio del 1994.
Il presente procedimento aveva avuto origine il 31 dicembre del 1998 a seguito di una denuncia-querela sporta da O. G. per fatti accaduti nel 1994. La querela, come risulta dalla sentenza impugnata, era stata presentata con notevole ritardo a seguito di particolari accadimenti che l'avevano preceduta. In particolare, il 13 gennaio del 1994, O. A., padre di G., aveva scritto al direttore del personale della C.a.p lamentando che un autista controllore di autobus della linea Poggio a Caiano-Prato, che aveva appreso chiamarsi G. M., era solito molestare con apprezzamenti pesanti e gesti osceni la propria figlia che si serviva di quella linea per raggiungere la scuola. Pochi giorni dopo il direttore della società chiedeva al G. spiegazioni scritte, informandolo della segnalazione ricevuta. Il G., per mezzo di un legale, si lamentava con una nota diretta all'O. delle accuse ricevute, ritenendole infondate. In risposta, il legale dell'O. scriveva per confermare il contenuto della nota diretta alla Cap e per augurarsi che tali fatti non avessero più a verificarsi e che la questione potesse ritenersi risolta. Il G., invece, propose querela nei confronti dell'O. per i delitti di ingiuria e diffamazione. L'istanza di punizione rimase inattiva negli armadi della procura di Prato fino al 7 maggio del 1998, allorché il pubblico ministero delegò i carabinieri del luogo per un tentativo di conciliazione che si rivelò impossibile. A seguito di tanto la parte offesa, ormai maggiorenne, si decise a sporgere querela nei confronti del G..
Il pubblico ministero, riuniti i due procedimenti, chiese ed ottenne l'archiviazione di quello instaurato a carico dell'O. procedendo nei confronti del solo G. per gli abusi sessuali.
Tanto premesso in fatto, la corte riteneva inutile rinnovare l'istruzione dibattimentale per effettuare una formale ricognizione di persona, come richiesto dal procuratore generale, perché l'imputato risultava individuato in base alla lettera a suo tempo scritta dal genitore della vittima ed in base alla circostanza che la parte offesa in dibattimento, pur avendo notato più volte l'imputato, non aveva mai segnalato che il prevenuto, presente in udienza, non fosse la persona da lei accusata; che non aveva pertanto più rilevanza tentare di identificare il dipendente che aveva fornito alla parte civile le generalità dell'imputato e, d'altra parte, eventuali eccezioni di inutilizzabilità della testimonianza della parte civile per l'omessa indicazione del teste di riferimento erano tardive, in quanto avrebbero dovuto essere formulate prima dell'instaurazione del rito abbreviato; che il reato era perseguibile d'ufficio perché commesso da soggetto incaricato di un pubblico servizio; che la parte lesa era attendibile in quanto le sue dichiarazioni erano state confermate da altri testimoni e più precisamente dall'amico P. M., con cui la minore si era confidata, dalla coetanea L. V., che aveva assistito a due episodi nonché dal medico curante dott. G. G., il quale in quel periodo aveva constatato che la ragazza era nervosa ed irritabile.
Ricorre per cassazione l'imputato per mezzo del difensore denunciando:
la violazione degli artt. 191, 194 comma 3 e 195 c.p.p. per l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da V. L. e del contenuto della querela dell'O. con riferimento all'identificazione dell'imputato, in quanto le stesse non avevano indicato il nome della persona da cui avevano appreso le generalità del prevenuto;
la violazione dei criteri di valutazione della prova per avere la corte territoriale ritenuto attendibile la parte lesa nonostante le numerose contraddizioni anche in merito ai turni di servizio effettuati dall'imputato, i quali non coincidevano con il racconto della persona offesa; sottolineava che l'inconciliabilità era assoluta perché neppure uno dei giorni indicati dalla persona offesa in cui si sarebbe verificati i fatti coincideva con i turni ufficiali di servizio svolti dal prevenuto;
la violazione degli artt. 213 e 189 c.p.p. con riferimento al fatto che nessun riconoscimento ufficiale risultava effettuato dalla persona offesa e che non poteva parlarsi di riconoscimento implicito per facta concludentia;
mancanza e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui si è ritenuta irrilevante la prova fornita dal prevenuto in merito all'incompatibilità del contenuto della lettera del 13 gennaio del 1994 con l'elenco dei turni di lavoro da lui espletati: sostiene in proposito che il riferimento al tempo trascorso contenuto della sentenza è del tutto illogico poiché la lettera è stata scritta nell'immediatezza del fatto e le date indicate in tale missiva non coincidono con i turni ufficiali dell'imputato;
erronea applicazione della legge (art. 529 c.p.p. e 543 c.p.p. (ora 609 septies) in merito alla procedibilità d'ufficio perché non risulta che l'imputato all'epoca del fatto fosse nell'esercizio delle proprie funzioni di autista, posto che sul punto la stessa deposizione della teste V. era equivoca, anzi aveva lasciato intendere che l'autore del fatto non era l'autista, ma persona vicina all'autista: in definitiva, mentre per i primi due episodi narrati dalla parte offesa risulta evidente che il preteso molestatore era al di fuori dell'esercizio delle proprie mansioni, per il terzo, quello del presunto bacio, l'unica testimone ossia la V. aveva usato termini incompatibili con l'individuazione del G. come autista.
Diritto
Il ricorso è in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.
Il primo motivo è infondato non ricorrendo l'ipotesi di inutilizzabilità della testimonianza indiretta di cui all'ultimo comma dell'articolo 195 c.p.p..
Il comma settimo dell'articolo dianzi citato dispone che non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame. Secondo la dottrina tale inutilizzabilità opera solo dopo l'assunzione della testimonianza indiretta: questa infatti è ammissibile anche se viene proposta sin dall'origine come tale. Di conseguenza, il giudice non potrebbe respingere la richiesta di ammissione di una testimonianza indiretta solo perché davanti alla polizia la persona informata dei fatti non ha voluto o non è stata in grado di indicare il nome del soggetto dal quale aveva appreso l'informazione oggetto della prova. Le parti quindi hanno diritto ad ottenere l'ammissione della testimonianza indiretta anche se esse stesse non indicano la fonte dell'informazione. Solo quando, anche dopo l'escussione dibattimentale, la fonte dovesse risultare ancora non individuata diverrebbe applicabile la regola di cui al comma settimo dell'articolo 195. In definitiva siffatta inutilizzabilità, ancorché logicamente riconducibile ad un momento anteriore, viene diagnosticata successivamente ed opera al momento della valutazione della prova. Da ciò consegue che nel giudizio abbreviato tale inutilizzabilità diventa operante solo se la parte ha condizionato la scelta del rito all'audizione del testimone indiretto e se, nonostante l'escussione, sia rimasta non individuata la fonte dell'informazione. Inoltre l'espressione non è in grado di indicare la persona o la fonte contenuta nella norma viene interpretata da questa corte nel senso che l'inutilizzabilità non operi allorché il testimone indiretto abbia fatto quanto poteva per fare identificare la fonte diretta, ma questa sia rimasta ignota (Cass sez. 5^, 3 maggio 1996, Nocchiero).
Nella fattispecie non ricorre la dedotta inutilizzabilità in primo luogo perché l'imputato non ha chiesto il rito abbreviato subordinatamente all'assunzione della querelante e della teste V.; in secondo luogo perché la predetta ha dichiarato di avere saputo dalla querelante il nome del prevenuto e quindi ha indicato la fonte mentre l'O. ha affermato di averlo appreso da un funzionario della cooperativa ossia da un persona che poteva eventualmente essere rintracciata ed identificata ove si fossero approfondite le indagini, previa escussione della querelante.
Infondato è anche il secondo motivo relativo alla dedotta inattendibilità della persona offesa perché sul punto la motivazione dei giudici del merito, fatta eccezione per il riferimento ai turni di lavoro del prevenuto, sui quali si tornerà in seguito, non presenta incongruenze o vizi giuridici. La corte, invero, tra l'altro, ha ritenuto e dato atto che, almeno due episodi, erano stato asseverati da una testimone oculare ossia dalla V. .
Parzialmente fondate sono invece le altre censure con riferimento alla connessione tra la qualità di incaricato di un pubblico servizio ed il reato nonché con riguardo alla motivazione fornita dalla corte in merito all'alibi dell'imputato ossia alla mancata coincidenza dei turni di lavoro del prevenuto con i giorni e gli orari indicati dalla parte lesa.
In ordine al primo punto si osserva che nella sentenza del tribunale il fatto più grave ossia quello relativo al bacio o al tentativo di bacio riferito anche dalla teste V. viene collocato il 10 gennaio del 1994 e quello verificatosi in piazza il 12 gennaio (cfr. sentenza di primo grado alla pagina 5). In proposito l'appellante nell'impugnazione aveva sottolineato che non v'era connessione tra la qualità d'incaricato di un pubblico servizio ed i fatti perché questi si erano verificati fuori del servizio. In particolare, per quanto concerneva l'episodio più grave ossia quello del bacio, secondo la testimonianza della V. non poteva essere stato commesso dall'autista, perché la teste aveva parlato di persona vicina all'autista (cfr motivi d'appello alla pagina 20). Orbene la corte territoriale, nell'esaminare la censura, si limita ad affermare che il reato era perseguibile d'ufficio perché commesso da un incaricato di un pubblico servizio senza analizzare il rapporto di dipendenza tra il servizio ed il fatto (cfr sentenza d'appello alla pagina 7). Invece, occorreva accertare e stabilire l'incidenza della qualità di incaricato di un pubblico servizio nella perpetrazione del reato. Secondo un'autorevole dottrina, espressa sotto la vigenza dell'abrogato articolo 542 c.p., applicabile alla fattispecie ratione temporis, talvolta recepita dalla giurisprudenza di questa Corte (87/175821), perché il reato potesse dirsi commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio occorreva che costui avesse agito come tale, abusando cioè dei poteri o violando i doveri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio, occorreva cioè che fosse applicabile l'aggravante di cui al n. 9 dell'articolo 61 c.p., ancorché il riferimento a tale norma non fosse stato esplicitato. Invero, nella relazione ministeriale il Legislatore aveva chiarito di avere ritenuto inutile specificare che il fatto dovesse essere da costoro commesso a causa o nell'esercizio delle funzioni o del servizio pubblico, essendo implicito che si dovesse prendere in considerazione l'abuso della funzione o del servizio (Relazione ministeriale sul progetto del codice Rocco, II pag. 331). Invero, al di fuori dell'abuso, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, nonostante la sua qualificazione personale, agisce come un privato e, quindi, non v' è ragione di considerare il suo fatto diversamente da quello commesso da un qualsiasi privato cittadino. Nell'ipotesi in esame la ragione della perseguibilità d'ufficio derivava, secondo l'opinione allora dominante, dalla lesione dell'interesse della pubblica amministrazione che si aggiungeva alla lesione dell'interesse della persona offesa. Siffatta interpretazione è stata sostanzialmente recepita nella novella del 1996 poiché il legislatore questa volta ha precisato che il fatto deve essere commesso nell'esercizio delle funzioni, ha cioè esplicitato la ragione ritenuta implicita dal legislatore del 1930. Secondo altra opinione, recepita anch'essa sotto la vigenza dell'articolo 542 c.p. da un parte della giurisprudenza (83/162030), per la procedibilità d'ufficio era sufficiente che il reato fosse stato agevolato e reso possibile dal potere inerente all'esercizio della funzione o dal rapporto particolare che si istaurava con la vittima in relazione al servizio svolto. Nella fattispecie non occorre optare per l'una o l'altra interpretazione essendo sufficiente rilevare che manca qualsiasi motivazione in ordine al rapporto di connessione tra la qualità di incaricato di un pubblico servizio ed il fatto, nonostante che la questione sia stata dedotta con i motivi d'appello.
In ordine al secondo punto l'imputato aveva dimostrato e dedotto che i fatti non potevano essersi verificati nei giorni ed alle ore indicate dalla parte offesa perché egli era di servizio su altra linea.
La Corte ha spiegato tale divergenza, per il tempo trascorso, per la giovane età della vittima, per l'agitazione della stessa e per la deposizione del B. . Quest'ultimo non aveva escluso in maniera assoluta che gli autisti potessero scambiarsi il turno anche senza formalizzarlo. La giustificazione non appare plausibile ove si consideri che la divergenza sussiste anche con i giorni e le ore indicate nell'immediatezza del fatto nella lettera inviata al dirigente della cooperativa il 13 gennaio del 1994 ossia proprio il giorno in cui si era verificato l'ultimo fatto. Lo stesso difensore della parte civile nella memoria depositata il 7 dicembre del 2007 riconosce il contrasto e lo spiega facendo rilevare che l'imputato avrebbe potuto comunque incrociare la O. . In tal caso però l'avrebbe incrociata fuori dal servizio, come ad esempio allorché l'aveva intercettata all'uscita dalla scuola e quindi sarebbe stato doveroso esaminare il rapporto di connessione tra il fatto e la qualità di incaricato di un pubblico servizio. In realtà le divergenze meritavano un approfondimento motivazionale e probabilmente anche istruttorio giacché il prevenuto è stato individuato dal dipendente della società al quale la parte lesa si era rivolta, anche per l'indicazione del turno di servizio. Proprio perché la questione meritava di essere approfondita il procuratore generale aveva chiesto che si procedesse ad una ricognizione di persona, ma tale istanza è stata respinta dalla corte nella sentenza in base al rilievo che la parte offesa, pur notando l'imputato in udienza, non aveva evidenziato che non era la persona da lei accusata.
La rinnovazione parziale dell'istruzione sarebbe stata possibile giuridicamente. Invero, una volta abbandonato, con la legge n. 479 del 1999, il modello di giudizio abbreviato basato sull'immutabilità dello stato degli atti, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello, d'ufficio o su istanza di parte, non può più considerarsi incompatibile con tale giudizio specialmente se condizionato, allorché l'integrazione sia assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti. D'altra parte sia in primo grado che in appello il giudice conserva pur sempre quanto meno il potere di verificare personalmente le dichiarazioni risultanti dagli atti che non gli sembrano tranquillizzanti.
Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata con rinvio per la rivalutazione del materiale probatorio in relazione ai punti prima segnalati.
In particolare ai fini della procedibilità d'ufficio il giudice del rinvio dovrà precisare se ed in quale misura il reato contestato e ritenuto in sentenza sia stato quanto meno agevolato dalla qualità di incaricato di un pubblico servizio dell'imputato. Dovrà inoltre approfondire la motivazione in ordine al contrasto tra le date indicate nella lettera del 13 gennaio del 1994, inviata al dirigente la cooperativa, ed i turni di servizio del prevenuto valutando la loro possibile compatibilità, procedendo all’occorrenza, se ritenuto necessario, anche ad un approfondimento istruttorio come ad esempio all'esame della teste V., la quale potrebbe, anche senza una formale ricognizione, essere invitata a dichiarare se l'imputato sia la persona da lei notata, posto che la stessa, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, in due occasioni, aveva visto il molestatore dell'amica che sapeva essere autista.
P.Q.M.
La Corte letto l'articolo 623 c.p.p. Annulla l'impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Firenze.