giovedì 1 maggio 2008 - Pubblicazione a cura di
CONTRATTO IN GENERALE - CONTRATTO CONCLUSO PER EFFETTO DI UN REATO - NULLITA'
Il contratto stipulato per effetto diretto della consumazione di un reato (nella specie, circonvenzione di incapace) è nullo per violazione di una norma imperativa e non semplicemente annullabile.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 6.2.97 B.E. e B. S. citarono al giudizio del Tribunale di Savona I. G., M.M.L. e G.C., chiedendo dichiarasi la nullità di due atti di vendita, mediante i quali i convenuti avevano acquistato da essi attori, tramite tale C. V. che aveva agito quale procuratore generale dei venditori, alcuni immobili; a sostegno della domanda deducevano che detta procura era stata ottenuta dal C. mediante comportamenti illeciti, integranti il delitto di circonvenzione d'incapace, in danno di B.E., del quale il predetto era stato dichiarato colpevole in sede penale.
Si costituivano i convenuti e contestavano il fondamento della domanda, segnatamente protestandosi estranei al comportamento del C..
Nel corso della causa, istruita con prove documentali e testimoniali, B.S. rinunciava agli atti del giudizio, ma tale rinunzi a non veniva accettata dai convenuti.
Con sentenza del 20.2.01 l'adito Tribunale respingeva, con compensazione delle relative spese, la domanda di B.S. ed accoglieva, con il favore delle spese, quella di B. E., dichiarando nulle le compravendite limitatamente alle quote degli immobili compravenduti di pertinenza di quest'ultimo.
I convenuti proposero appello nei confronti di entrambi gli attori, i quali si costituirono resistendo, per quanto di rispettivo interesse, al gravame e la Corte di Genova, con sentenza del 17-29 ottobre 2002, dichiarava l'impugnazione inammissibile, per difetto d'interesse (in mancanza di soccombenza) nei confronti di B.S., ed infondata, rigettandola, nei confronti di B.E., con condanna degli appellanti al pagamento delle rispettive spese.
Richiamando e ribadendo le motivazioni del primo giudice, quelli di appello ritenevano che il contratto concluso da persona incapace, ove rientrante - come nel caso de quo, in cui vi era stata condanna penale passata in giudicato - nella fattispecie integrante il delitto di circonvenzione previsto e punito dall'art. 643 c.p., fosse affetto da nullità e non da semplice annullabilità, per l'accertata contrarietà a norme imperative, discendente, pur in assenza di specifiche disposizioni civilistiche, dalla generale previsione di cui all'art. 1418 c.c., devolvente al giudice di merito il compito di accertare se la disposizione contraddetta dall'atto di autonomia privata trovi la sua ratio in una esigenza di tutela dell'interesse pubblico, situazione nella specie ricorrente tenuto conto della natura cogente "per eccellenza" del precetto penalmente sanzionato, peraltro diretto a tutelare non tanto il patrimonio della parte lesa, quanto l'esplicazione della sua libertà negoziale.
Dalla nullità della procura, conferita dall'incapace circonvenuto, i giudici di merito hanno altresì tratto, pur dando atto della non uniformità al riguardo della giurisprudenza, la conseguenza dell'altrettanto radicale invalidità, e non semplice inefficacia, del negozio concluso dal "preteso"procuratore, osservando che comunque, anche in tale ultima ipotesi, prospettata dagli appellanti, il comportamento del preteso rappresentato, impugnante gli atti conclusi, avrebbe chiaramente escluso la volontà di ratifica, che peraltro non avrebbe potuto desumersi dalla semplice inerzia chiedendo l’ art. 1399 c.c., una manifestazione nelle medesime forme richieste dall'atto costituente suo oggetto; in ogni caso anche all'azione di accertamento dell'inefficacia andrebbe riconosciuto il carattere dell'imprescrittibilità.
Non invocabile dai con venuti, infine, è stata ritenuta dalla corte territoriale la previsione di cui all'art. 2652 c.c., n. 6, non potendo i medesimi giovarsi della buona fede - peraltro nella specie esclusa dal primo giudice per la evidente "anomalia della contrattazione" in considerazione delle "condizioni davvero peculiari delle vendite" - trattandosi di disposizione prevista solo per i subacquirenti, totalmente estranei al negozio viziato.
Contro la suddetta sentenza i soccombenti appellanti hanno proposto, nei confronti del solo B.E., ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Ha resistito l'intimato con contoricorso, contenente ricorso incidentale, al quale i ricorrenti principali hanno replicato con ulteriore controricorso.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., tra il ricorso principale e quello incidentale.
Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta " violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1418 c.c.", censurandosi la dichiarazione di nullità delle procure rilasciate dal B. al C., in quanto frutto del delitto di circonvenzione di incapace posto in essere da quest'ultimo. Si sostiene che tale negozio sarebbe semplicemente annullabile, per vizio di consenso o incapacità di intendere di volere, come previsto dalle espresse disposizioni civilistiche, con le quali si è inteso tutelare con tale rimedio gli interessi particolari del contraente più debole, e si critica la diversa opinione giurisprudenziale, cui si sono nella specie conformati i giudici di merito, negando che in siffatti casi, ai quali va ricondotta l'ipotesi del contratto concluso per effetto del reato di cui all'art. 643 c.p., sussistano, in difetto di norme espressamente comminanti la nullità, ragioni di ordine pubblico tali da giustificare siffatta tutela alla parte offesa, più ampia rispetto a quella in via generale prevista dal codice civile per i casi di negozi inficiati da vizi della volontà.
Il motivo è infondato.
Ritiene il collegio di non doversi discostare dall'indirizzo, da considerarsi ormai prevalente nella giurisprudenza di legittimità, a termini del quale, nei casi in cui la stipulazione di un negozio giuridico costituisca effetto diretto della consumazione di un reato, ravvisandosi una violazione di norme di ordine pubblico, in ragione delle esigenze d'interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia dell'integrità patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina civilistica in tema di annullabilità dei contratti, l'atto debba essere dichiarato radicalmente nullo, ai sensi dell'art. 1418 c.c. per contrasto con norme imperative (v., Cass. n. 1228/00, n. 4774/99, per quanto riguarda gli atti compiuti da amministratori di società nell'ambito di condotte penalmente sanzionate dall'art. 2624 c.c., e Cass. n. 1427/04, conf. 8948/94, con particolare riferimento alle condotte integranti il delitto di circonvenzione d'incapace, p.e.p. dall'art. 643 c.p., pronunzia con la quale si è evidenziato come la ratio della norma penale, costituita dalla tutela dell'autonomia privata e della libera esplicazione dell'attività negoziale delle persone in stato di menomazione psichica, connoti di imperati vita, anche sul piano civilistico, il divieto di siffatte condotte).
Le critiche che parte ricorrente rivolge a tale indirizzo giurisprudenziale, particolarmente insistenti sulla coincidenza tra le condotte riconducibili all'art. 643 c.p. e quelle previste dalla normativa civilistica in materia di incapacità naturale e vizi della volontà, non colgono nel segno. Tale coincidenza, infatti, non sempre si verifica, ben potendosi configurare in concreto ipotesi di negozi conclusi dall'incapace, che non sia stato tuttavia vittima di atti di circonvenzione, nel senso richiesto dalla norma penale, da parte dell'altro contraente, così come la rilevanza del dolo, ai fini dell'annullabilità del contratto, non richiede necessariamente uno stato di menomazione psichica nel soggetto passivo, essendo a tal fine sufficiente che i raggiri posti in essere dal deceptor abbiano indotto, mediante un rappresentazione alterata della realtà, il deceptus a stipulare un negozio che, in assenza degli stessi, non avrebbe concluso.
Evidente è allora come, la presenza, nelle ipotesi riconducibili all'art. 643 c.p., di un quid pluris, costituito dal particolare grado d'intensità del dolo posto in essere dal soggetto attivo e dalla, altrettanto particolare, condizione del soggetto passivo, costituiscano le ragioni per le quali il legislatore ha ritenuto di ricorrere alla tutela penale del contraente più debole in siffatti casi, così formulando una scelta che non può che rispondere ad esigenze di pubblico interesse, che si riflettono, sul piano civilistico, connotando di imperatività il divieto di compiere tali atti. Nè, d'altra parte, vale obiettare che in tali casi manchi una norma specificamente comminante la sanzione della nullità di siffatti atti, tenuto conto che l'art. 1418 c.c., contiene un principio di ordine generale, diretto a prevedere proprio che, in quei casi nei quali alla violazione della norma imperativa non si accompagni l'espressa previsione di nullità, sia compito del giudice stabilire se la norma contraddetta dall'autonomia privata rivesta il carattere dell'imperati vita, tale da meritare la massima sanzione d'invalidità prevista dall'ordinamento (in tal senso v. Cass. n. 3272/00).
Con il secondo motivo vengono dedotte carenza e contraddittorietà di motivazione e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1418 e 1398 c.c. in ordine alla pronuncia di nullità degli atti di compravendita intercorsi tra le parti, quale effetto della dichiarata nullità della procura, censurandosi l'apoditticità della relativa affermazione, comunque in contrasto con la più recente giurisprudenza, a termini della quale il negozio concluso dal falsus procurator non è invalido ma solo inefficace fino a quando non intervenga la ratifica; conseguentemente la domanda attrice, che in primo grado era stata proposta solo in riferimento alla nullità dei contratti in questione, non avrebbe potuto trovare accoglimento sotto la diversa causale della inefficacia, stante l'oggettiva diversità dei rispettivi elementi.
A tale motivo d'impugnazione risulta connesso e contrapposto quello formulato, in termini di ricorso incidentale condizionato, nel controricorso B., con il quale si lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., per non avere la corte di merito esaminato l'eccezione, formulata dall'appellato nella comparsa di costituzione e risposta in secondo grado, nella quale si contestava l'ammissibilità, in quanto deducente un'eccezione nuova, del motivo di appello, con il quale gli I. - M. - G. avevano dedotto che le conseguenze di una procura nulla non sarebbero consistite nella nullità, ma nella semplice inefficacia dell'atto mediante la stessa stipulato. In altri termina tale assunta eccezione, in quanto attinente a circostanza tardivamente dedotta e non rilevabile di ufficio, non avrebbe potuto essere presa in considerazione dalla corte di merito; sicchè, per l'ipotesi di ritenuta fondatezza del motivo di ricorso principale, deducente l'inefficacia e non la nullità dei contrattasi oppone la radicale inammissibilità fin dal precedente grado della relativa questione; a tale argomentazione la difesa degli I. - M. - G. ha replicato, nel controricorso al ricorso incidentale, che nella specie non troverebbe applicazione il divieto di nuove eccezioni, trattandosi di una mera argomentazione difensiva, diretta a stimolare la corretta qualificazione giuridica della fattispecie, fermi restanti gli elementi costitutivi della stessa, da parte del giudice. L'intima connessione tra le opposte censure ne comportaci necessità, l'esame congiunto.
In materia di atti compiuti dal falsus procurator può ritenersi ormai costante e consolidata la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale gli stessi non sono nulli, ma solo inefficace la relativa inefficacia non è rilevabile di ufficio, ma solo su eccezione di parte, alla quale è legittimato solo lo pseudo - rappresentato. (v., tra le altre, Cass. n. 3872/04, 11772/03, 12144/99, 11396/99, 4257/97). L'ultima parte di tale principio, a termini della quale è necessaria una richiesta dello pseudo - rappresentato, ai fini della pronuncia dell'inefficacia, va tuttavia coordinato con una ragionevole applicazione di quelli, in tema di corrispondenza tra chiesto e giudicato ex art. 112 c.p.c., in virtù dei quali "nel piè è compreso il meno" e la causa petendi di una richiesta va individuata non tanto nelle ragioni giuridiche dedotte dall'attore o eccipiente, quanto nei fatti costitutivi o impeditivi posti a base della domanda o eccezione, la cui corretta qualificazione compete sempre al giudice;sicchè, quando tali fatti, ancorchè diversamente qualificati, restino immutati ed il decisum coincida, almeno in parte, con il petitum, risulta osservato il suddetto principio processuale.
Da quanto sopra considerato deriva che, pur a fronte di una domanda diretta alla dichiarazione di nullità degli atti in questione, ben avrebbe potuto il giudice dichiararne la semplice inefficacia, posto che l'inefficacia costituisce, all'evidenza, un minus rispetto alla nullità e può ritenersi virtualmente nella stessa compresa (non diversamente da quanto è stato, ripetutamente, precisato dalla giurisprudenza nell'analoga tematica dei rapporti tra domanda di dichiarazione della nullità e quella di annullamento: v, tra le altre, Cass. 16708/02, 11157/96), sol che si consideri che il negozio nullo non potendo produrre alcun effetto giuridico, è anche inefficace; quanto alla causa petendi, nessun mutamento del fatto integrante la stessa può ravvisarsi nella specie, in cui anche la richiesta di dichiarazione dell'inefficacia riveniva la sua causale nella mancanza di potere rappresentativo del C., da considerarsi falsus procurator in conseguenza della nullità della procura delittuosamente ottenuta dal medesimo.
Da quanto precede discende che, essendo i giudici di appello pervenuti alla dichiarazione caducatoria dei contratti impugnati adottando due diverse rationes decidendi, ciascuna astrattamente idonea ad accogliere la domanda del B. l'una affermativa della nullità, l'altra dell'inefficacia degli stessi, la seconda delle quali soltanto è da ritenersi corretta, sia dal punto di vista processuale, sia da quello sostanziale, il motivo di ricorso principale, ancorchè in parte e sul piano teorico fondato, laddove censura la prima ratio, de/e essere comunque rigettato, perchè infondato nella parte in cui censura, sul piano processuale, la seconda, sostenendo che il giudice non avrebbe potuto dichiarare, in difetto di un'espressa domanda di parte, l'inefficacia dei suddetti negozi.
Resta conseguentemente assorbito il motivo di ricorso incidentale, di natura condizionata, attinente alla tempestività della citata e disattesa eccezione processuale della controparte.
Con il terzo motivo del ricorso principale viene dedotta "contraddittoria, insufficiente ed erronea motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla ratifica del negozio concluso dal falsus procurator", censurandosi la sentenza impugnata nella parte in cui, accedendo all'alternativa tesi della inefficacia del negozio stipulato dal falsus procurator, ha osservato che sarebbe comunque mancata la ratifica, sia perchè il preteso rappresentato avrebbe "dimostrato e dichiarato di non voler ratificare, avendo promosso iniziative giudiziali." incompatibili con la volontà di mantenere in piedi i contratti, sia perchè "la ratifica avrebbe dovuto venire manifestata con le medesime formalità richieste per l'atto ratificando". Si sostiene al riguardo che dall'esame "degli atti di causa", segnatamente da quelli relativi alla pregresse vicende processuali, nelle quale il B. aveva agito contro I., M. e G. per la rescissione dei contratti conclusi per il tramite del C., domande respinte dal Tribunale di Savona con due parallele sentenze, sarebbe emersa la chiara volontà di ratifica, posto che la denuncia di lesione ultra dimidium, subita per effetto del contratto implicherebbe "il riconoscimento della validità dello stesso dal punto di vista della rappresentanza effettuata dal procurator".
La censura, ancor prima che infondata (dal momento che anche una domanda di rescissione del contratto, diretta comunque alla caducazione del negozio con effetti restitutori ex tunc, non può ritenersi compatibile con l'inequivoca volontà di farne propri gli effetti, richiesta ai fini della ratifica), è inammissibile per difetto di specificità, perchè deducente circostanze di fatto (pregresse vicende giudiziarie) che si assumono documentate e, genericamente, risultanti "dagli atti di causa", senza tuttavia anche precisare come e quando la relative prove siano state fornite ai giudici di merito, con la conseguenza che questa Corte non è in grado di stabilire se quella di merito fosse tenuta, in considerazione della ritualità della produzione, al relativo esame (sulla necessità che delle prove documentali, di cui si lamenti l'omesso esame, siano precisati non solo i contenuti, ma anche le modalità dell'acquisizione agli atti del processo: v. Cass. 7610/06).
La contrapposta seconda censura del controricorrente, formulata in termini di ricorso incidentale autonomo (ma, più correttamente, qualificabile quale ricorso incidentale condizionato, atteso l'esito favorevole al proponente della sentenza impugnata), con la quale si denuncia violazione o errata applicazione dell'art. 345 c.p.c. e/o art. 190 c.p.c., in rel. art. 352 c.p.c., per avere la Corte d'Appello indebitamente preso in esame la questione della ratifica dei contratti di compravendita, nonostante la stessa fosse stata per la prima volta, inammissibilmente, sollevata nella comparsa conclusionale in secondo grado, resta conseguentemente assorbita.
Con il quarto motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2652 c.c., n. 6, censurandosi, per mancanza di motivazione ed erroneità, la conferma da parte della corte di merito dell'inapplicabilità ritenuta dal primo giudice in relazione alla ravvisata nullità degli atti di compravendita, della disposizione in questione, al riguardo obiettandosi che i convenuti, come accertato in sede penale, non avrebbero avuto alcun rapporto con il B. ed avrebbero conosciuto solo al momento della stipula il C., così risultando in assoluta buona fede. La censura, tenuto conto dell'esito dei precedenti motivi di ricorsola disattesa per difetto di rilevanza, restando assorbita dall'esito dei precedenti motivi di ricorso, comportante la conferma della sentenza impugnata nella parte dichiarativa dell'inefficacia e non anche in quella della nullità dei contratti impugnati.
Tenuto conto, infine, della particolare complessità delle questioni, sostanziali e processuali, formanti oggetto del giudizio e della non univocità dei precedenti giurisprudenziali, si ritiene equa la totale compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale, dichiara assorbito l'incidentale e compensa interamente le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2008