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Corte di Cassazione Civile, sentenza del 07/03/2008 n.6185
domenica 13 aprile 2008 - Pubblicazione a cura di

Responsabilità extracontrattuale dell'Istituto Bancario in caso di pagamento di un assegno emesso con la clausola “non tasferibile” ad un soggetto terzo dal beneficiario.



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE CIVILE
Sentenza 7 marzo 2008, n. 6185

Svolgimento del processo
Con citazione 13.10.97 il fallimento della Srl F. convenne innanzi al Tribunale di Milano la spa B. - banca ed espose che, in date comprese fra aprile e settembre 1993, erano stati negoziati presso l'agenzia n. 1 della Cassa di Risparmio di Vercelli, di cui la convenuta era successore universale a seguito di fusione, 6 assegni bancari, specificamente indicati negli estremi, par un complessivo importo di L. 3.100 milioni (pari ad € 1.601.016,38), tratti sulla Banca Nazionale dall'Agricoltura a sulla Banca Popolare di Crema, all'ordine dalla predetta e muniti di clausola di non trasferibilità, con accredito presso la banca girataria a favore di soggetti terzi, diversi dal legittimo prenditore, sui c/c n. 36400 e n. 73007 intestati rispettivamente a Fi. spa e So. spa, in forza di girata siglata da G. Pietro per conto della F. . Chiese quindi la condanna della convenuta a rifondere le somme suddette, lamentando violazione dell'art. 43 legge assegni (R.d. n. 1736/1933), non potendo i titoli, non trasferibili, essere pagati se non al prenditore ovvero ad esso accreditati, nonché a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Radicatosi il contraddittorio, la banca eccepì nel merito l'infondatezza della domanda avendo il G. , che rappresentava le tre società, agito in forza di procura notarile rilasciatagli dalla F. , e dovendosi intendere l'accredito controverso avvenuto per specifica sua disposizione.
Dedusse inoltre carenza d'interesse ad agire del fallimento, chiedendo farsi ordine di esibizione delle scritture contabili di tutte le società, ormai tutte fallite, al dott. G. , nominato curatore nelle tre procedure, onde accertare la sussistenza di reciproche posizioni debitorie, estinte mediante la contestata operazione.
Il Tribunale di Vercelli, cui gli atti furono rimessi a seguito d'eccezione formulata dalla convenuta cui l'attore aveva aderito, respinse la domanda con sentenza n. 540 dell'11.8.03, che venne impugnata dalla curatela fallimentare innanzi alla Corte d'appello di Torino, deducendo che la documentazione in atti confutava la tesi avversa, accolta dal primo giudice. Segnatamente, le distinte di versamento sui conti delle beneficiate ove si indicavano gli assegni e non il contante, smentiva che la F. avesse monetizzato gli assegni e quindi versato l'equivalente sui conti delle altre società. In ogni caso, il G. aveva agito senza averne il potere.
L'eccezione di compensatio lucri cum danno proposta dalla banca era infondata, siccome la F. non aveva intrattenuto alcun precedente rapporto di debito/credito con le altre due società.
Con appello incidentale subordinato, la B. banca ribadì il difetto di legittimazione attiva della procedura, siccome aveva preteso dai traenti il pagamento delle somme controverse, nonché l'insussistenza del danno invocato da controparte, avendo l'operazione estinto pregressi debiti verso le due società beneficiate
La Corte territoriale, con la sentenza in esame n. 1626 notificata il 28 febbraio 2005, in riforma della decisione impugnata, ha ritenuto la vicenda contrastante col disposto dell'art. 43 L.a. ed ha quindi accolto la domanda, condannando la banca al pagamento delle somme controverse.
Contro tale decisione la Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli - B. banca -, ha proposto il presente ricorso per cassazione affidato a 3 motivi, resistiti dal fallimento intimato.
Entrambe le parti hanno infine depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
 
Motivi della decisione
La ricorrente deduce:
1.- violazione e falsa applicazione degli artt. 1388-1392-1393 c.c., e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, e censura la sentenza impugnata laddove desume dall'omessa spendita da parte del G. del nome di alcuna delle società che rappresentava, che egli al più avesse agito nella qualità di rappresentante delle società Fi. e So. A mente della normativa rubricata, la contemplatio domini non postula formule sacramentali, ma ammette forme implicite, laddove sussista comportamento che per univocità e concludenza porti il contraente a conoscenza del soggetto nel cui interesse si agisce. Nel caso di specie, la Corte territoriale, fondandosi su contraria errata interpretazione, ha ignorato gli indici rivelatori della qualifica rivestita dal G. , costituiti dell'aver egli predisposto le distinte di versamento aventi ad oggetto gli assegni previa esibizione allo sportello bancario della procura rilasciatagli dalla F. , in forza della quale girò i titoli per l'incasso essendo cartolarmente legittimato, e quindi dispose circa la destinazione dei fondi, ben potendo assumere ogni relativa decisione, contestualmente accreditandoli per conto della rappresentata, il cui con senso, che non necessitava di alcuna formalità, era comunque desumibile dalla contestualità delle due operazioni, di girata e di versamento dei titoli, e dall'appartenenza alla rappresentata dei beni trasferiti alle società terze.
Deduce infine sia la contraddittorietà della motivazione per aver la Corte di merito affermato stricto iure che il consenso prestato dal prenditore degli assegni non trasferibili a che vengano pagati a terzi ha effetto esimente, e quindi disapplicato l'enunciato in punto di fatto, sia la sua illogicità laddove si afferma l'irregolarità del pagamento eseguito allo stesso prenditore nella persona del soggetto che opera in forza di procura, della cui esistenza pur viene dato atto. Il resistente deduce inammissibilità della censura in quanto introduce questione nuova non dibattuta in sede di merito, sia perché si sarebbe formato giudicato interno in ordine all'accertata violazione della legge sulla circolazione dei titoli.
Ne rileva comunque l'infondatezza nel merito.
Il motivo appare fondato.
Occorre escludere preliminarmente sia la novità della questione introdotta col primo motivo, siccome trae fondamento dal tessuto motivazionale in cui si articola la sentenza impugnata, sia il giudicato interno. La decisione, contrariamente all'assunto del resistente, afferma non già il divieto assoluto di accreditare a terzi gli assegni non trasferibili; piuttosto coltiva la sua motivazione sull'assunto che ciò può avvenire col consenso del legittimo prenditore, che nulla ha escluso per le ragioni che verranno di seguito indicate.
Le censure sono indirizzate contro tale ratio in senso pertinente.
Nel merito i motivi appaiono meritevoli d'accoglimento.
La Corte d'appello ha desunto la responsabilità della banca girataria dal fatto che: il G. , come aveva dedotto il fallimento che aveva eccepito che egli avesse ecceduto dai limiti della procura avendo compiuto attività illecita, sottoscrisse le distinte di versamento senza spendita del nome di alcuna delle tre società che rappresentava, sicché nel dubbio, al più, poteva ritenersi che egli avesse agito per conto delle beneficiate di cui era amministratore, e peraltro, a differenza della fallita, clienti della banca. In assenza della contemplatio domini, restava indimostrato che avesse apposto sulle distinte di versamento la sigla nella qualità di procuratore della legittima prenditrice. Non vi è prova che vi fosse il consenso della F. , non desumibile dalla girata, eseguita dal G. apponendo la sua sigla sotto il timbro recante suddetta ragione sociale, in quanto era rivolta solo a rendere il suddetto procuratore all'incasso, ma senza indicazione sulla destinazione finale dei fondi. Le menzionati distinte, aventi ad oggetto gli assegni e non il contante, escludono che i titoli furono incassati dalla F. e che quindi questa avesse disposto dell'equivalente, versandolo sui conti delle altre società. Di qui la violazione dell'art. 43 del r.d. n. 1736/1933 e la conseguente colpa della banca, che, in quanto operatore qualificato, avrebbe dovuto pretendere da parte del G. la spendita del nome della società prenditrice, laddove il medesimo rappresentante rivesta tale qualifica in relazione a società diverse. Il tessuto motivazionale che sorregge tale approdo appare inficiato dal denunciato vizio motivazionale poiché:
1.- appare carente in ordine alla qualificazione della natura dell'operazione, titolo fondante la responsabilità extracontrattuale della banca sulla quale la curatela ha basato la sua domanda di risarcimento danni della suddetta convenuta, denunciata in termini di condotta antigiuridica siccome "inquietante", risultando tesa ad occultare il depauperamento della fallita. La decisione impugnata, priva di qualsiasi riferimento argomentativo alla natura sostanzialmente fraudolenta dedotta in lite, correla l'asserita omessa contemplatio domini nella disposizione dell'importo dei titoli alla violazione della norma speciale menzionata, traendone l'antigiuridicità della condotta della banca che non appare però verificabile in questa cornice di riferimento normativo. È pacifico infatti, e se ne dà atto in sentenza, che il G. presentò i titoli per l'incasso apponendo la sua sigla per la relativa girata sotto il timbro F. , previa esibizione allo sportello della procura negoziale che gli conferiva il potere di spendere in nome della società, che quindi legittimamente rappresentò. Tanto legittimò il banchiere a consentire la girata per l'incasso, siccome apposta dalla stessa società prenditrice per il tramite del suo procuratore negoziale, che il funzionario identificò come tale assolvendo dunque all'obbligo, posto a suo carico, di diligente accertamento della legittimazione e del conseguente relativo potere di trasferire il titolo per l'incasso del presentatore del titolo (cfr. Cass. n. 19512/05, 13463/06).
L'operazione venne insomma realizzata nel rispetto della disposizione contenuta nell'art. 43 del R.d. n. 1736/1933, nel cui paradigma essa è inquadrabile in parte qua.
2.- appare illogico laddove, pur dando atto che il G. appose la firma per l'incasso in veste di procuratore della legittima prenditrice spendendone il nome, assume che però dispose dell'equivalente intendendo rappresentare al più le due società beneficiate, di cui era il legale rappresentante. Questa conclusione appare non sorretta da rapporto di logica coerenza con la riferita premessa, accertata in punto di fatto e pacifica, né è assistita da motivazione sufficiente a spiegare le ragioni per le quali i giudici d'appello, pur avendo accertato e dato atto che il G. aveva firmato la girata per l'incasso in nome e per conto della F. , hanno escluso che egli avesse operato nel resto, disponendo dell'equivalente e quindi siglando le distinte di versamento, non più nella medesima qualità, ormai correttamente verificata dal banchiere, ma in nome e per conto delle beneficiate seppur, com'è incontroverso, non avesse dichiarato di rappresentarle, avendo apposto la sua nuda sigla, non nella rivestita qualità di amministratore.
Appare piuttosto evidente che la costruzione logica che sorregge la sintesi ricostruttiva si fonda in tesi solo sull'asserita finalità illecita dell'operazione che, seppur palese, appare decisiva ma in diversa chiave prospettica, solo laddove l'accertamento sul carattere fraudolento dell'operazione fosse stato esaminato quale titolo fondante la responsabilità extracontrattuale e personale del G. , e, in concorso, della banca, che del resto la curatela aveva dedotto nel suo atto introduttivo, a sostegno dell'avanzata domanda di risarcimento danni. Nella specie, appare evidente il salto logico denunciato, siccome emerge dalla complessa articolazione della sentenza sia che i giudici dell'appello hanno desunto da siffatta asserita illiceità, tratta dalla violazione della norma contenuta nell'art. 43, il convincimento dell'assenza del potere del G. di sottoscrivere le distinte, sia che alla luce di tale affermazione, in conclusione non argomentata, hanno letto i termini salienti della vicenda, collocandola nella cornice della norma rubricata, svalutando il fatto decisivo che la banca abbia chiesto conto della sua legittimazione al presentatore del titolo, e che questi dispose con accredito a favore di terzi, ma senza esternarne la qualità di rappresentante.
Di qui la sussistenza del denunciato vizio di motivazione .
Restano assorbite le restanti doglianze.
Ne consegue l'accoglimento del ricorso nei sensi che precedono, con rinvio degli atti alla Corte di merito che provvederà altresì sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la pronuncia impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Torino in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.