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Cassazione penale, sez. III, sentenza 9/1/2008 (dep. 25/2/2008) n° 8389
domenica 13 aprile 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

Il palpeggiamento dei genitali davanti ad altri soggetti, seppure in modo scaramantico, deve considerarsi atto contrario alla pubblica decenza.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 9 gennaio - 25 febbraio 2008, n. 8389
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi sigg.ri:
dott. Guido De Maio Presidente
1. Dott. Alfredo Teresi Consigliere
2. Dott. Carlo M. Grillo Consigliere
3. Dott. Margherita Marmo Consigliere
4. Dott. M. Silvia Sensini Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da B. M. nato a *** il ***,
avverso la sentenza n. 660/07 dell'11/5-1/6/2007,
pronunciata dal Tribunale di Como in composizione monocratica.
-Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
-Sentita la relazione fatta dal Consigliere Carlo M. Grillo;

-sentite le conclusioni del P.M. , in persona del S. Procuratore Generale dott. Guglielmo Passacantando, con le quali chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;

La Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

-Il tribunale di Como in composizione monocratica, a seguito di giudizio abbreviato, con sentenza 11/5/2007, condannava B. M. alla pena di € 200,00 di ammenda in ordine alla contravvenzione di cui all'art. 726 c.p.[1], commessa il 31/5/2006, perché sulla pubblica via, si toccava vistosamente i genitali (da sopra i vestiti) volgendo lo sguardo all'interno di una vettura che transitava, occupata da tre giovani.

- l'imputato ricorre per cassazione avverso tale decisione, deducendo: 1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett.«b», c.p.p.), con riguardo al principio di offensività essendo il gesto da lui effettuato (equiparato a un grattamento) null'altro che un movimento compulsivo e involontario, probabilmente finalizzato alla sistemazione della tuta di lavoro che stava indossando, comunque assolutamente privo di potenziale offensivo; 2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto responsabilità (art. 606, comma 1 lett. e, c.p.p.), emergendo dalle deposizioni testimoniali raccolte che si trattò di un gesto fugace, commesso da un soggetto che stava lavorando probabilmente dovuto agli effetti della calura, «e non certamente di un atto plateale, prolungato, volontario e quindi tale da suscitare disagio negli astanti».

- All'odierna udienza il P.G. conclude come riportato in epigrafe.
- Il ricorso è inammissibile, ex art. 606 comma 3 c.p.p., in quanto manifestamente infondato.

Come costantemente affermato da questa Corte (da ultimo: Sez. III, 11 giugno 2004, n. 26388, Arriga), il palpeggiamento dei genitali davanti ad altri soggetti, in quanto manifestazione di mancanza di costumatezza ed educazione, deve considerarsi atto contrario alla pubblica decenza, concetto comprensivo di quel complesso di regole comportamentali etico-sociali che impongono a ciascuno di astenersi da condotte potenzialmente offensive del sentimento collettivo della compostezza e del decoro, generanti disagio, disgusto e disapprovazione nell'uomo medio.

E' pacifico poi, nel caso di specie, che l'episodio de quo si svolse in una pubblica via e addirittura – circostanza peraltro non richiesta per la sussistenza della contravvenzione – che il gesto venne percepito chiaramente, e certo non con approvazione, dai tre ragazzi indicati nel capo di imputazione.

Alla luce di tali premesse, in fatto e diritto, entrambe le doglianze proposte si rivelano palesemente infondate: la prima, in relazione alla offensività del gesto, in quanto, prima, in relazione alla offensività del gesto, in quanto, come si è detto, proprio sulla potenziale offensività (del concetto di decenza come sopra definito) del palpeggiamento di genitali coram populo, vi è giurisprudenza univoca; la seconda, in quanto attiene alla ricostruzione del «fatto» (che pacificamente comprende anche la valutazione dell'elemento intenzionale dell'agente), ed è quindi sottratta al vaglio di legittimità, essendo riservata al giudice del merito.

- A mente dell'art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità del gravame consegue, quando non possa escludersi che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. cost. sent. 7-13 giugno 2000 n. 186), come nel caso di specie, l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 1.000,00.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2008.
Il consigliere est. Il Presidente
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 FEBBRAIO 2008.