mercoledì 29 aprile 2009 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Reg. Decis.:
|
78/2009
|
Reg. Gen.
|
75/2008
|
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, III Sezione di Lecce, composto dai signori Magistrati:
Dott.
|
Antonio CAVALLARI
|
Presidente
|
Dott.
|
Tommaso CAPITANIO
|
Primo Referendario, relatore
|
Dott.ssa
|
Silvia CATTANEO
|
Referendario
|
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
A) sul ricorso n. 75/2008, proposto da G.A. S.r.l. (capogruppo mandataria) e U.S. S.n.c. (mandante), in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dagli avv. Pietro e Luigi Quinto, ed elettivamente domiciliate presso lo studio degli stessi, in Lecce, Via Garibaldi, 43,
contro
- CONSORZIO A.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Mormandi, con domicilio eletto presso la Segreteria TAR, in Lecce, Via F. Rubichi, 23/A;
- PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO – DI LECCE, in persona del Prefetto p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto presso la sede della stessa, in Lecce, Via F. Rubichi, 23;
- COMUNE DI CASARANO, in persona del Sindaco p.t., non costituito,
per l’annullamento, previa sospensione,
- della determina n. 110 del 20.12.2007 con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Consorzio A.S. ha revocato l’aggiudicazione dell’appalto dei servizi di igiene urbana per il Comune di Casarano, e conseguentemente risolto il contratto rep. n. 3 del 21.4.2006;
- della determinazione n. 111 del 20.12.2007 con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Consorzio A.S. ha indetto la procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara per l’affidamento della gestione dei servizi integrati di raccolta differenziata e dei servizi complementari relativi all’igiene urbana nel Comune di Casarano (ai sensi dell’art. 57, comma 2 lettera c, del D.Lgs. n. 163/2006), escludendo dall’invito di partecipazione la G.A. e la U.S.;
- di ogni altro atto e/o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale, e, in particolare, della conferma di informativa antimafia interdittiva resa dalla Prefettura di Lecce in data 15.12.2007 e del connesso parere del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica di estremi ignoti, nonché della nota della Prefettura di Lecce prot. n. 2442/AM/Area I/O.S.P.;
e per la condanna
delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni ingiusti;
B) sui motivi aggiunti al predetto ricorso, depositati in data 29.1.2008;
C) sui motivi aggiunti al predetto ricorso, depositati in data 27.10.2008.
Visto il ricorso, con i relativi allegati, e tutti gli atti di causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Prefettura di Lecce e dell’A.S.;
Vista la domanda cautelare proposta unitamente al ricorso;
Visti i motivi aggiunti;
Vista l’ordinanza 1.2.2008, n. 72, recante l’accoglimento della domanda cautelare;
Uditi alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2008 il relatore, Primo Referendario T.C., e, per le parti costituite, gli avv. Luigi Quinto e Calabro (in sostituzione di Mormandi). Nessuno presente per la Prefettura di Lecce.
FATTO
1. Le società ricorrenti impugnano i provvedimenti con cui la Prefettura di Lecce ha comunicato al Consorzio A.S. la sussistenza, a carico di G.A., di elementi che fanno supporre l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, e i conseguenti provvedimenti con i quali il predetto Consorzio da un lato ha revocato l’aggiudicazione, in favore dell’a.t.i. G.A. – U.S., dell’appalto relativo al servizio di igiene urbana presso il Comune di Casarano, dall’altro ha bandito una nuova gara, omettendo di invitare sia G.A. che U.S..
La c.d. interdittiva antimafia viene censurata per i seguenti motivi:
- nell’ambito di altra procedura di gara bandita dall’A.S. nel 2006, la Prefettura di Lecce aveva comunicato l’interdittiva antimafia a carico di G.A., dalla qual cosa era scaturita la revoca dell’aggiudicazione anche per gli appalti oggetto di quella procedura (i relativi atti sono stati censurati da G.A. con ricorsi nn. 1345/2007 e 1346/2007, allo stato ancora pendenti davanti a questo Tribunale);
- avvalendosi della facoltà di cui all’art. 10, comma 8, del D.P.R. n. 252/1998, G.A. aveva chiesto alla Prefettura di rivedere l’informativa antimafia, adducendo di avere posto in essere una serie di misure tese a recidere i supposti legami con la malavita organizzata. In particolare, considerato che la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa era stata desunta principalmente dalla presenza nell’organico aziendale di un soggetto (il sig. R.G., al quale l’amministratore pro tempore di G.A. aveva rilasciato una procura speciale, implicante un ampio potere gestionale) sospettato, sia per ragioni di parentela, sia perché rinviato a giudizio per reati ambientali (ma con l’aggravante di aver agito per agevolare l’organizzazione mafiosa) di essere contiguo ad un noto esponente della Sacra Corona Unita, la società aveva dapprima revocato la procura speciale e in seguito licenziato il dipendente, la di lui moglie e la di lui sorella (vietando loro l’ingresso nei locali aziendali, inibendo agli altri dipendenti di avere contatti con tali soggetti e comunicando la revoca della procura agli istituti di credito con cui la società intratteneva rapporti negoziali) e aveva altresì trasferito la sede in altro Comune. Poiché la Prefettura non aveva ritenuto sufficienti tali misure, confermando l’interdittiva, la società aveva adottato ulteriori e rilevanti modifiche all’assetto aziendale (era stata revocata la carica di amministratore al sig. Alessandro Strafino ed era stato nominato un nuovo amministratore unico; i soci, signori Strafino e Ponzetta, avevano ceduto il proprio pacchetto azionario, uscendo definitivamente dalla società).
Le determinazioni dell’A.S. sono censurate per i seguenti motivi (oltre che per invalidità derivata da quella dell’interdittiva prefettizia):
- per ciò che concerne la revoca dell’aggiudicazione, la vigente normativa (art. 11 del D.P.R. n. 252/1998), per il caso in cui i provvedimenti ostativi sopravvengano nel momento in cui il rapporto contrattuale è già in essere, non prevede alcun automatismo, dovendo al contrario il committente pubblico valutare se la prosecuzione del rapporto è confacente o meno agli interessi pubblici che si contrappongono in vicende del genere. Poiché il Consorzio intimato ha disposto la revoca dell’aggiudicazione sul presupposto che a ciò fosse obbligata dall’interdittiva prefettizia e non ha quindi motivato sul punto, la determinazione n. 110/2007 è già solo per questo illegittima. Con i motivi aggiunti del 27.10.2008 anche la nota prefettizia n. 2442/AM/07/Area 1/O.S.P. dell’8.11.2007 viene censurata per violazione dell’art. 11 del D.P.R. n. 252/1998 ;
- la determinazione di indizione della nuova gara è invece illegittima per due distinti profili. In primo luogo, perché la presenza di un’interdittiva antimafia non preclude all’impresa che ne sia colpita la possibilità di partecipare a nuove gare d’appalto, anche perché, giusta il disposto dell’art. 10, comma 8, del D.P.R. n. 252/1998, il provvedimento ostativo può venire meno in caso di rigenerazione dell’impresa (l’eventuale conferma dell’interdittiva impedisce solo la stipula del contratto, laddove l’impresa risulti aggiudicataria). In secondo luogo, perché la partecipazione alla gara non poteva comunque essere preclusa alla mandante U.S., la quale non può essere penalizzata da vicende che riguardano solo e soltanto G.A..
2. Si sono costituiti la Prefettura di Lecce e il Consorzio A.S. – Bacino, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Consorzio ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso - siccome proposta in forma cumulativa – sul presupposto che le ricorrenti hanno impugnato, contestualmente, atti emanati da autorità diverse, non strettamente consequenziali fra loro e rispetto ai quali sono applicabili regimi processuali diversi (i provvedimenti del Consorzio sono infatti soggetti alla disciplina dell’art. 23-bis della L. n. 1034/1971).
3. Dopo che con le ordinanze in epigrafe è stata accolta la domanda cautelare ed è stata disposta istruttoria, alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2008 la causa è stata trattenuta per la decisione di merito.
DIRITTO
1. Viene alla decisione del Tribunale il ricorso con cui G.A. e U.S. impugnano i provvedimenti con i quali:
- da un lato, la Prefettura di Lecce ha comunicato, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 252/1998, l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nella compagine della capogruppo G.A.;
- il Consorzio A.S., da parte sua, proprio basandosi sull’interdittiva prefettizia ha revocato l’aggiudicazione dell’appalto del servizio di igiene urbana nei Comuni appartenenti all’Ambito ottimale, aggiudicato all’a.t.i. ricorrente nel 2006.
2. Al fine di mettere ordine nelle varie questioni sottoposte all’esame del TAR dalle ricorrenti (le quali hanno posto in essere una strategia processuale che, di volta in volta, ha privilegiato ora gli aspetti giuridico - formali, ora i dati sostanziali), va innanzitutto premesso che non sono rilevanti nel presente giudizio le vicende societarie di G.A. verificatesi nella primavera del corrente anno 2008 (di cui le ricorrenti danno conto nella memoria difensiva depositata in data 3.7.2008), e ciò in quanto la legittimità dei provvedimenti impugnati va delibata alla luce della situazione esistente al momento in cui gli atti stessi sono stati adottati (anche perché nel caso di specie, come si dirà infra, gli eventi successivi non provano, ad esempio, che la Prefettura di Lecce è incorsa in uno sviamento di potere nel momento in cui aveva comunicato l’originaria interdittiva). Il discorso non muta neanche nell’ipotesi in cui il sig. R.G. fosse assolto all’esito del processo penale in cui è imputato per il delitto di cui all’art. 53-bis del D.Lgs. n. 22/1997, aggravato dall’art. 7 del D.L. n. 152/1991 (la difesa di G.A. ha in effetti chiesto che la trattazione della causa fosse differita ad un momento successivo alla conclusione del procedimento penale, e ciò proprio perché l’eventuale assoluzione del sig. Rosafio farebbe crollare le basi su cui poggia l’interdittiva antimafia), e ciò in quanto l’art. 10, comma 7, del D.P.R. n. 252/1998 considera sufficiente anche il solo rinvio a giudizio ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia.
Sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dal Consorzio resistente, e ciò in quanto:
- in generale, la c.d. informativa prefettizia, quando viene richiesta dalle stazioni appaltanti, si inserisce a pieno titolo nell’ambito del complesso procedimento finalizzato alla stipula del contratto di appalto pubblico (costituendo condicio sine qua non per la stipula stessa), per cui può a ragione sostenersi che essa fa parte della procedura di “affidamento” di cui parla l’art. 23-bis;
- nel caso di specie, poi, non c’è dubbio che l’informativa prefettizia è stata impugnata dalle ricorrenti proprio in quanto atto presupposto alle determinazioni del Consorzio A.S. (fermo restando che il provvedimento avrebbe anche potuto essere censurato con separato ricorso, visto che esso è lesivo per ulteriori altri profili, desumibili dall’art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 252/1998), dal che consegue la necessaria “attrazione”, anche dal punto di vista del regime processuale, alla vicenda principale.
3. Passando quindi all’esame del merito della vicenda, va in primo luogo rigettato il motivo di ricorso con cui U.S. censura la propria esclusione dalla procedura negoziata che il Consorzio A.S. ha indetto a seguito della revoca della precedente aggiudicazione e della susseguente risoluzione del contratto (si deve precisare che la doglianza va esaminata senza tenere conto delle argomentazioni di cui alla memoria difensiva depositata dalle ricorrenti in data 3.7.2008 – con le quali viene dedotta la violazione dell’art. 37, comma 18, del D.Lgs. n. 163/206, come modificato dal D.Lgs. n. 113/2007, ossia un nuovo motivo di ricorso – e ciò in quanto la predetta memoria non è stata notificata alle controparti).
In effetti, pur dovendosi convenire con la citata impresa sul fatto che l’interdittiva nei confronti di G.A. non ha “contagiato” la mandante (la quale, sino a prova contraria, è immune da qualsiasi tentativo di infiltrazione mafiosa, tanto è vero che la predetta società non è stata direttamente attinta in alcun modo dai provvedimenti prefettizi per cui è causa), è altrettanto vero che:
- nel caso di specie, le imprese/a.t.i. da invitare sono state individuate in quelle che avevano preso parte alla gara originaria e che non erano risultate aggiudicatarie, per cui ne consegue che nemmeno la mandante U.S. poteva partecipare alla nuova gara, essendo la compagine associativa immodificabile in sede di gara (art. 37, comma 9, del D.Lgs. n. 163/2006);
- tale scelta dell’ATO non è stata contestata dalle ricorrenti in parte qua (ossia, nella parte in cui le imprese da invitare sono state individuate in quelle che avevano preso parte alla precedente gara);
- la procedura negoziata ha visto una partecipazione superiore ai limiti minimi fissati dall’art. 57 del D.Lgs. n. 163/2006.
Pertanto, sotto questo profilo i motivi aggiunti vanno rigettati.
4. Ma il punto centrale della vicenda coinvolge evidentemente la posizione di G.A., e quindi la legittimità dell’interdittiva antimafia pronunciata nei riguardi della capogruppo dell’a.t.i.
Come si è detto in precedenza, in sede cautelare la Sezione ha esaminato in maniera molto approfondita i dati documentali che l’Avvocatura erariale è stata in grado di depositare in giudizio (si deve ricordare che molti dei documenti su cui si fonda l’interdittiva sono secretati, essendo afferenti ad indagini penali in corso) – tanto che l’ordinanza n. 72/2008 è stata impugnato anche sotto il profilo di un’asserita violazione dei limiti cognitivi che il giudice amministrativo deve rispettare in sede cautelare – arrivando a ritenere insufficienti gli indizi che il Prefetto di Lecce ha giudicato invece significativi circa il persistente tentativo di infiltrazione mafiosa.
4.1. Nel corso del giudizio l’Amministrazione statale ha depositato altri documenti, inerenti sempre le medesime attività di riscontro sulla capacità economica dei soggetti che hanno acquisito le quote di G.A. dai precedenti soci signori Strafino e Ponzetta, dal cui esame il Collegio trae la convinzione che l’interdittiva antimafia di cui alla nota della Prefettura di Lecce impugnata dalle ricorrenti è immune dai vizi sollevati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti.
4.2. Prima di dare conto della predetta conclusione, è necessaria una premessa circa la portata dell’art. 21-octies, comma 2, della L. n. 241/1990, introdotto dalla L. n. 15/2005.
La norma, come si sa, dispone che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” ed essa è stata ritenuta fin dal principio espressione di consolidati orientamenti giurisprudenziali tesi a superare una visione meramente formalistica del procedimento e del processo amministrativo (la c.d. “caccia all’errore” di cui parlava un noto Autore alcuni decenni fa). In generale, l’art. 21-octies consente al giudice di evitare la pronuncia di annullamento in alcune specifiche ipotesi, ma esso è espressivo anche di un ordine di idee più generale, come è dimostrato da alcune pronunce del G.A. in cui si è in pratica affermato che la pubblica amministrazione resistente può in ogni caso integrare in giudizio l’insufficiente motivazione dell’atto impugnato (vedasi ad esempio le sentenze del TAR Napoli, IV, n. 50/2007 e del TAR Lecce, I, n. 609/2007). La norma in commento, però, non dice questo o, meglio, prevede i casi nei quali l’integrazione della motivazione è consentita, e ciò è tanto vero che in altre sentenze più recenti si afferma che l’integrazione della motivazione deve riguardare comunque sempre lo stesso atto impugnato (e non un ipotetico atto successivo, che la P.A. potrebbe sempre adottare, ma nei limiti dell’autotutela e previa una nuova istruttoria) e che essa non può provenire dal difensore costituito (TAR Lecce, III, n. 1406/2008).
4.3. Un aspetto particolare della vicenda è rappresentato invece dall’incidenza delle acquisizioni istruttorie sulla motivazione del provvedimento, in relazione al disposto dell’art. 21-octies, questione sulla quale non si rinvengono molti precedenti giurisprudenziali recenti. Il quesito che l’interprete può trovarsi a sciogliere è il seguente: in base all’art. 21-octies, comma 2, la pubblica amministrazione può integrare in giudizio gli elementi istruttori posti a base del provvedimento impugnato, nonostante la norma non menzioni la carenza istruttoria come profilo che può essere “sanato” in corso di causa?
Il Collegio ritiene che il quesito meriti una soluzione favorevole all’applicazione dell’art. 21-octies, per le ragioni che si vanno ad esporre.
Come detto, la norma de qua vuole esprimere in sostanza il principio per cui il provvedimento amministrativo (seppure formalmente illegittimo per violazione di una norma del procedimento) non è passibile di annullamento quando l’amministrazione dimostra in giudizio che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Tale dimostrazione può riguardare o l’inutilità della partecipazione del privato (e in questo caso, a ben vedere, è il ricorrente a dover portare all’attenzione del giudice elementi fattuali che avrebbe potuto far valere nel corso del procedimento – e che non ha potuto in concreto far valere proprio perché non era a conoscenza del procedimento – e che avrebbero potuto incidere sulla decisione della P.A.), o l’irrilevanza della violazione di regole sulla forma degli atti, mentre la distinzione fra atti vincolati e atti discrezionali rileva solo ai fini della rilevabilità d’ufficio della “sanatoria” (nel senso che, per i primi, può essere lo stesso giudice a rilevare che il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, mentre per i secondi dovrebbe essere l’amministrazione a provare tale circostanza).
Peraltro, seppure l’art. 21-octies non fa alcun accenno all’eventuale carenza di istruttoria quale vizio sanabile, non si può ritenere che ciò precluda in assoluto al giudice di evitare l’annullamento allorquando la P.A. integra in giudizio i dati fattuali su cui si fonda la decisione. In effetti, a parte che l’istruttoria è una fase comune a tutti i procedimenti amministrativi (e quindi essa precede sia l’adozione degli atti vincolati, sia quelli discrezionali), non sarebbe logico escludere qualsiasi rilievo agli elementi fattuali che l’amministrazione resistente è in grado di depositare solo in un momento successivo del giudizio.
Per fare un esempio concreto, si pensi all’ipotesi in cui, in presenza di una moria di pecore esistenti presso un certo allevamento, l’autorità competente ordini l’abbattimento di tutto il gregge, e ciò a seguito di esami condotti su un campione ridotto di animali. Laddove questo provvedimento emergenziale venga censurato in sede giurisdizionale dal proprietario dell’allevamento – il quale lamenti proprio il difetto di istruttoria, per non essere il campione esaminato rappresentativo dell’intero allevamento – ma medio tempore l’autorità sanitaria prosegua nelle analisi, riscontri i sintomi della malattia in un numero ulteriore di animali e depositi in giudizio gli esiti del supplemento di istruttoria, non si vede perché il giudice dovrebbe annullare un atto che si è dimostrato sorretto da sufficienti elementi fattuali e non dovrebbe invece applicare l’art. 21-octies.
Nell’esempio che si è appena fatto è facile vedere come, da un lato il provvedimento finale resta sempre quello inizialmente impugnato, mentre dall’altro lato il supplemento di istruttoria riguarda sempre gli stessi accertamenti, i quali vengono solamente integrati da analisi più approfondite e numericamente più significative. Tra l’altro, può benissimo accadere che gli accertamenti siano stati compiuti in un momento antecedente a quello della notifica e al deposito del ricorso, mentre gli atti relativi a quegli accertamenti sono stati formati in un momento successivo per ragioni di natura tecnico-procedurale (ad esempio perché si era in attesa dei risultati di esami di laboratorio).
4.4. Ora, nel caso di specie, si è verificato proprio un evento del genere. In effetti, il provvedimento impugnato è stato formato in un momento storico in cui la Prefettura di Lecce e le Forze di Polizia che hanno preso parte al procedimento erano a conoscenza dell’avvenuta trasformazione della compagine sociale di G.A., tanto da avere avviato accertamenti patrimoniali a carico dei nuovi soci; gli esiti di tali accertamenti iniziali, cristallizzati negli atti di cui il Tribunale ha tenuto conto in sede cautelare (nonché, si deve presumere, in altri atti che non sono stati messi a disposizione dell’Avvocatura erariale in quanto coperti dal segreto istruttorio), sono stati ritenuti sufficienti dalla Prefettura a far presumere ancora sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa. Peraltro, come è logico che accada, gli accertamenti patrimoniali non sono stati mai interrotti e ciò proprio perché le indagini sulla criminalità organizzata sono in continua evoluzione, dovendo le Forze di Polizia scovare anche e soprattutto i “prestanome” dei soggetti che fanno parte dei sodalizi criminali (ossia coloro che consentono ai mafiosi di intestare i beni a persone incensurate, in modo da sottrarli ai sequestri e alle confische disposti dall’Autorità giudiziaria).
Per cui, per un verso gli atti relativi a queste indagini patrimoniali sono continuamente aggiornati, per altro verso può accadere che i documenti rappresentativi di questi accertamenti vengano formati in un momento successivo a quello in cui il giudice amministrativo è chiamato a delibare in sede cautelare la legittimità di un’interdittiva antimafia.
4.5. Nel presente giudizio, è accaduto che alla camera di consiglio del 30 gennaio 2008 la Prefettura ha sostenuto che G.A. era ancora soggetta al tentativo di infiltrazione mafiosa, e ciò sul presupposto della fittizietà della cessione delle quote azionarie da parte dei signori Strafino e Ponzetta; la fittizietà è stata desunta da vari elementi riferiti a ciascuno dei nuovi soci, ma, in quel momento, non sono stati forniti sufficienti elementi probatori che confermassero le suddette asserzioni (sul punto vedasi la motivazione della citata ordinanza cautelare n. 72/2008).
Successivamente, però, la difesa erariale ha depositato gli atti relativi agli accertamenti patrimoniali effettuati soprattutto sul conto del sig. Negro, i quali erano stati avviati sin dalla fine del 2007. I dati contenuti nella documentazione suppletiva si riferiscono tra l’altro ad anni ormai trascorsi ed essi riguardano il reddito complessivo dichiarato dai componenti il nucleo familiare del sig. Negro nel periodo in questione.
Pertanto, quella che all’epoca della pronuncia cautelare era una mera illazione della Prefettura, si è successivamente rivelata un’affermazione del tutto verosimile, corredata di elementi fattuali indiscutibili (almeno ai fini del raggiungimento della soglia di rilevanza di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998).
In effetti, il reddito del sig. Negro e della di lui consorte (quale risulta dagli atti de quibus, ed in particolare dalle note della D.I.A. di Lecce prot. n. (omissis) e della Questura di Lecce prot. n. (omissis) del l’1.4.2008) è del tutto sproporzionato rispetto all’impegno che lo stesso sig. Negro aveva assunto in sede di acquisto delle quote societarie di G.A..
Ugualmente non adeguato alla situazione personale dell’interessato appare l’impegno economico sostenuto per l’acquisto delle quote di G.A. da parte del sig. D.F., il quale, dalla citata nota della D.I.A. di Lecce, risulta essere stato:
- dipendente della società dal 1999 al 2001 e poi dall’1.6.2002 al 19.12.2003;
- dipendente della società G.A. S.r.l. dal 4.1.2005 al 7.3.2005;
- ufficialmente disoccupato nei restanti periodi presi in esame.
Né gli altri componenti il nucleo familiare del citato sig. D.F. appaiono in possesso di adeguata capacità finanziaria (i dati di cui alla nota della D.I.A. non sono stati contestati dalle ricorrenti, per cui di essi il Tribunale può tenere conto ai fini della decisione).
4.6. Pertanto, il Tribunale ritiene che la fittizietà della cessione delle quote societarie della ricorrente G.A. sia correttamente desumibile dalla situazione patrimoniale del sig. Negro e del sig. D.F., il che è di per sé sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato.
5. Per quanto concerne, invece, l’operato del Consorzio A.S. , il Tribunale non ritiene di dover condividere le tesi delle ricorrenti circa il fatto che, laddove il rapporto contrattuale è già in essere al momento in cui sopravviene l’interdittiva antimafia, la parte pubblica ha la mera facoltà (non è tenuta cioè obbligatoriamente) di risolvere il rapporto contrattuale e che l’eventuale decisione di procedere alla revoca dell’aggiudicazione deve essere congruamente motivata.
Tenendo conto sia della ratio del sistema di prevenzione in cui si inserisce la misura cautelare per cui è causa, sia della posizione delicata in cui si vengono a trovare i funzionari pubblici chiamati a decidere sulla sorte di un contratto di appalto che vede nella veste di appaltatore un’impresa sospettata di essere inquinata da infiltrazioni mafiose, si deve concludere nel senso che ad essere debitamente motivata è più che altro la scelta di proseguire nel rapporto piuttosto che quella di risolvere il contratto, non potendosi certo imporre ad un ente pubblico di “subire” un rapporto contrattuale in cui una delle parti si trova in situazione di incapacità speciale a contrarre.
6. Per tutto quanto precede, il ricorso e i motivi aggiunti vanno respinti, anche per quanto concerne l’azione risarcitoria.
Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra le parti costituite.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, l’11 dicembre 2008.
Dott. Antonio Cavallari – Presidente
Dott. Tommaso Capitanio – Estensore
Pubblicato mediante deposito in Segreteria il 21.01.2009