Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione e/o falsa applicazione degli art. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 cod, civ., nella parte in cui la Corte di appello ha respinto la loro richiesta di risarcimento del danno biologico terminale e del danno morale terminale, sebbene fra le lesioni e la morte della vittima siano intercorse oltre ventiquattrore.
Affermano i ricorrenti che nell'intervallo di tempo intercorso fra l'incidente e il decesso la vittima ebbe a riportare un danno biologico di rilevante entità e a risentire delle sofferenze subite nell'incidente, con conseguente danno morale, tenuto anche conto del tempo intercorso fra la perdita del controllo dell'autovettura, da parte del conducente, e l'impatto contro il palo, durante il quale l'infortunata ebbe certamente il tempo di accorgersi della catastrofe imminente, con le conseguenti angosce e sofferenze. Illegittimamente, pertanto, la Corte di appello ha negato alla vittima, e ad essi appellanti, per successione ereditaria, il giusto risarcimento.
Il motivo è fondato e va accolto.
La Corte di appello ha respinto la domanda con la motivazione che il decesso della povera M. G. era intervenuto allorché i postumi delle lesioni non si erano ancora consolidati, e che la possibilità di procedere alla liquidazione del danno biologico presupporrebbe la sopravvivenza in vita del soggetto leso, con ridotte capacità psicofisiche, al termine del periodo di invalidità temporanea. Quanto al danno morale, ha soggiunto che non risulterebbe provato che la vittima - prima del decesso o prima dell'urto della vettura contro l'ostacolo fisso -abbia avvertito sensazioni dolorose, e che comunque nel tempo intercorso fra le lesioni e la morte essa rimase sempre in stato di incoscienza.
Trattasi di motivazione fondata sull'erronea interpretazione e applicazione degli art. 2059, 2056 e 1223 ss. cod. civ. in tema di danno per morte, e inidonea a sorreggere la decisione.
In base alla costante giurisprudenza di questa Corte, la vittima consegue il diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale soggettivo ccdd. terminali in tutti i casi in cui fra il fatto che ha provocato le lesioni e il decesso sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo (cfr., fra le tante, Cass. civ. Sez. III, 1° dicembre 2003 n. 18305 e precedenti ivi cit.).
Il risarcimento di entrambe le voci di danno, cioè, può essere negato ove il tempo di sopravvivenza non sia considerato apprezzabile, ma non certo per le ragioni indicate dalla sentenza appellata che, letteralmente interpretate, sembrerebbero ammettere il risarcimento nei soli casi in cui il danneggiato sia sopravvissuto, con ridotta capacità psicofisica.
Al contrario, non si può escludere che le lesioni sussistano e siano da ritenere consolidate - per usare i termini del giudice di appello - quando ad esse segua addirittura la morte, a più o meno breve distanza di tempo. In tal caso "il danneggiato acquisisce il diritto al risarcimento del danno biologico subito per l'effettiva durata della sua sopravvivenza....e si tratta di un danno alla salute, che se pure è temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità (cd. danno biologico terminale)" (Cass. civ, n. 18305/2003 cit., p. 5; Cass. civ. 16 maggio 2003 n. 7632).
La sopravvivenza per ventiquattr'ore è in astratto idonea a configurare un tal tipo di danno, onde il giudice del merito valuterà se detto periodo di tempo sia sufficiente ad integrare l'oggettiva configurabilità in capo al danneggiato delle menomazioni dell'integrità fisica in cui si concretizza il danno biologico, ovvero l'acquisizione al patrimonio del diritto al risarcimento di un danno trasmissibile agli eredi.
Parimenti errata è la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso il diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale terminali, per il fatto che la vittima, essendo rimasta in stato di incoscienza, non avrebbe avuto la possibilità di percepire i suddetti danni. Questa Corte ha più volte precisato che il danno biologico, quale lesione dell' interesse costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) all' integrità fisica e psichica della persona “è presente ugualmente sia che la vittima abbia coscienza della lesione, sia che non l'abbia” e, quanto al danno morale, che "quel turbamento ingiusto dello stato d'animo che dà luogo al danno comprende anche le sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima in stato di incoscienza" (Cass. civ. n. 18305/2003, cit., p. 7 del testo. Nello stesso senso, Cass. civ., Sez. III, 24 maggio 2001 n. 7075; Cass. civ. 6 ottobre 1994 n. 8177).
Il primo motivo di ricorso deve essere quindi accolto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: nel caso di danno per morte la vìttima consegue il diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale ccdd. terminali, in tutti i casi in cui fra il fatto illecito e il decesso sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo. Tale può astrattamente considerarsi anche la sopravvivenza per ventiguattr'ore. Sia il danno biologico, sia il danno morale terminali comprendono anche le sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima in stato di incoscienza".
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione delle stesse norme richiamate nel primo motivo, nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, con riferimento al capo della sentenza che ha escluso la risarcibilità del danno biologico per morte (ed. danno tanatologico) subito da M. G., consistente nel fatto in sé dell'avere perso la vita, a prescindere dal tempo della permanenza in vita dopo le lesioni. Ad avviso dei ricorrenti, in tal caso va riconosciuto alla vittima, e per essa ai suoi eredi, un diritto al risarcimento, autonomo e distinto rispetto al pretium doloris, trattandosi della lesione di diritti della persona costituzionalmente protetti. Va premesso che gli stessi ricorrenti mostrano di essere consapevoli della contraria e consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, qualora la morte sia istantanea, non può essere riconosciuto alcun risarcimento né alla parte lesa, a cui la morte impedisce di percepire materialmente i danni, né ai suoi congiunti ed eredi, i quali possono far valere solo le conseguenze dannose che essi stessi abbiano materialmente percepito, oppure quelle che il defunto possa avere loro trasmesso per successione, avendole egli stesso sofferte prima della morte (cfr. fra le altre, Cass. civ., Sez. III, 16 maggio 2003 n. 7632).
Nonostante la delicatezza della questione e gli inconvenienti prospettati dai ricorrenti, circa le possibili discriminazioni fra le varie posizioni risarcitorie, secondo il dato casuale che la morte sia conseguita all'illecito in via immediata, oppure a distanza di un tempo anche breve, questa Corte non ritiene di discostarsi dalla soluzione consolidata, alla quale la sentenza impugnata si è uniformata, con ampia e corretta motivazione.
Una diversa soluzione imporrebbe di rivedere l'intera materia del danno per morte, ivi inclusi i casi esaminati in relazione al primo motivo del ricorso in oggetto, non potendosi certo sommare il cd. danno biologico tanatologico (ove fosse ritenuto risarcibile) , con i danni terminali di cui sopra, conseguenti a periodi anche brevi di sopravvivenza: danni la cui liquidazione è palesemente attribuita in considerazione della ritenuta impraticabilità dell'altra e più radicale soluzione.
Va poi considerato che il danno conseguente all'interruzione traumatica del rapporto parentale, per la morte improvvisa di uno stretto congiunto, può trovare (e trova) ampio e concreto risarcimento nell'attribuzione ai familiari - iure proprio - del diritto al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali, comprensivi non delle sole sofferenze fisiche (eventuali danni biologici) o psichiche (danni morali soggettivi), ma anche dei cd. danni esistenziali, consistenti nell'irrimediabile, oggettiva e peggiorativa alterazione degli assetti affettivi e relazionali all'interno della famiglia, derivante dalla morte (sul danno esistenziale per morte cfr. diffusamente, e con ampio richiamo dei precedenti, Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2006 n. 13546).
La liquidazione dei suddetti danni esistenziali (in aggiunta alle altre voci di danno non patrimoniale) appare mezzo idoneo ad attribuire un compenso (nei limiti del possibile) per la morte istantanea di uno stretto congiunto, qualora la suddetta liquidazione avvenga in termini adeguati; tenendo conto, cioè, della gravità ed irreparabilità della perdita e del fatto che essa non viene altrimenti risarcita.
Il secondo motivo di ricorso deve essere quindi respinto.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione delle stesse norme richiamate in relazione al primo motivo, e l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, con riguardo al capo della sentenza impugnata che ha disatteso la loro domanda di risarcimento del danno patrimoniale futuro conseguente alla morte di M. G., sotto il profilo della perdita dei vantaggi patrimoniali che la permanenza in vita della rispettiva figlia e sorella avrebbe loro permesso di acquisire.
Il motivo non può essere accolto.
La sentenza impugnata ha escluso che, nel caso di specie, un danno di tal genere sia configurabile con sufficiente grado di probabilità, tenuto conto del contesto socio-economico in cui viveva la famiglia G., dei mutati costumi che oggi informano i rapporti dei giovani con la famiglia di origine e del fatto che anche i genitori avrebbero dovuto sostenere esborsi per il mantenimento della figlia. La motivazione appare adeguata e non è consentito a questa Corte riesaminarne i presupposti di fatto. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1506 del 2003 deve essere cassata, con rinvio della causa ad altra Sezione della medesima Corte di appello, affinché decida sulla domanda risarcimento del danno biologico e del danno morale terminali subiti direttamente dalla vittima, proposta dai ricorrenti iure haereditario, uniformandosi al seguente principio di diritto:
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il secondo e il terzo motivo di ricorso; accoglie il primo motivo e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, la quale deciderà anche in ordine alle spese della presente fase di cassazione.