sabato 29 novembre 2008 - Pubblicazione a cura di Angela Lorusso
Residenza familiare – scelta - coniugi – volontà concorde – esigenza serenità famiglia
La scelta della residenza familiare è rimessa alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che tale scelta non deve soddisfare soltanto le esigenze economiche e professionali del marito, ma deve soprattutto salvaguardare le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della serenità della famiglia (nella specie, la Corte ha cassato la sentenza d’appello nella parte in cui aveva statuito che le preminenti esigenze della famiglia, ai sensi dell'art. 144 c.c., dovevano essere ragionevolmente identificate con l'esigenza di salvaguardare l'attività professionale del marito, presumibilmente meglio retribuita e quindi di fatto più vantaggiosa per la famiglia medesima).
Cassazione Civ., Sez. I, 3 ottobre 2008, n. 24574
Fatto
1. Con sentenza n. 603 del 17 novembre 2004, la Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari - in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Tempio Pausania in data 27 maggio 2003, che confermava nel resto - così disponeva:
a. dichiarava che la separazione personale dei coniugi L.N. e M.P.C. era addebitabile alla moglie e che, per l'effetto, la medesima non aveva diritto a percepire dal coniuge un assegno di mantenimento, rigettando anche la domanda della L. di condanna del marito alla somministrazione in suo favore degli alimenti;
b. regolamentava gli incontri tra il padre e la figlia minore E.;
c. poneva a carico del M., a titolo di contributo per il mantenimento della figlia minore, il pagamento della somma di Euro 1.000,00 a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza;
d. condannava l'appellante L.N. alle spese del doppio grado di giudizio.
2. A fondamento di tale decisione, l'adita Corte di appello, per quel che rileva nel presente giudizio di cassazione, così motivava:
2.a. la domanda di addebito, reiterata dalla L. non poteva trovare accoglimento, in quanto le risultanze istruttorie non avevano dimostrato l'esistenza dell'asserito accordo dei coniugi - che avevano stabilito la residenza familiare in (omissis), dove il M. svolgeva la professione di medico - circa la fissazione di detta residenza a (omissis) o comunque nel (omissis), emergendo invece dagli atti soltanto la prova di un progetto futuro, subordinato alla concreta fattibilità, e non di un vero e proprio accordo immediatamente vincolante, la cui inosservanza potesse essere considerata come violazione, conseguente ad una condotta dolosa o colposa del M., di uno specifico dovere nascente dal matrimonio e quindi come motivo di addebito della separazione;
2.b. le risultanze istruttorie non consentivano neppure di accertare, quale concausa del fallimento dell'unione coniugale, le percosse, che, secondo la L., le sarebbero state inflitte dal marito;
2.c. generico era l'ulteriore motivo di addebito, individuato nella compressione materiale e spirituale subita dalla L. in conseguenza del carattere iroso e prevaricatore del M., asseritamente dotato di personalità nevrotica; parimenti generica e non confortata da elementi probatori era l'accusa al marito di non aver fatto godere alla moglie lo stato di agiatezza economica in cui egli versava, accusa anzi smentita da produzioni documentali comprovanti che il conto corrente bancario del M. era intestato anche alla L., che poteva di conseguenza effettuare autonomi prelievi;
2.d. era invece fondata l'istanza di addebito riproposta dal M., in quanto era rimasto provato, anche per dichiarazione della L., che la moglie si era allontanata definitivamente dall'abitazione familiare di (omissis) per trasferirsi con la figlia a (omissis) dalla propria madre nell'(omissis), dopo che già in precedenza durante il matrimonio la medesima aveva preso a trascorrere nella capitale lunghi periodi; tale allontanamento non appariva giustificato, non essendo emersi comportamenti del marito contrari ai doveri nascenti dal matrimonio, e pertanto la condotta della moglie si era posta in aperta violazione dell'obbligo di coabitazione derivante dal matrimonio, come stabilito dall'art. 143 c.c., comma 2, ed appariva causa della definitiva rottura del rapporto coniugale; di conseguenza non poteva essere riconosciuto alla L. l'assegno di mantenimento a norma dell'art. 156 c.c., comma 1;
2.e. non poteva essere accolta la domanda subordinata della L. di condanna del marito alla prestazione degli alimenti ai sensi dell'art. 433 c.c., non avendo l'interessata dimostrato la sussistenza dei necessari presupposti oggetti vi, ossia il proprio stato di bisogno e l'impossibilità di provvedere autonomamente al proprio mantenimento;
2.f. era fondata la domanda di aumento del contributo paterno al mantenimento della figlia minore, in considerazione del reddito mensile netto del M., pari a circa Euro 2.200,00 nel 1999 e verosimilmente nel frattempo aumentato, e del suo considerevole patrimonio immobiliare, nonché delle esigenze della figlia, iscritta a (omissis) presso una scuola materna privata; tale contributo doveva essere determinato, a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza di appello, nell'importo mensile di Euro 1.000,00, comprensivo di tutte le spese ordinarie afferenti alla minore, non essendo stata documentata la necessità di spese straordinarie.
3. Per la cassazione di tale sentenza L.N. ha proposto ricorso sulla base di dieci motivi e memoria. Il M. ha resistito con controricorso. Il Procuratore generale presso Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, benché intimato dalla ricorrente, non ha svolto attività processuale in questa fase.
Diritto
1. Con il primo motivo la L. - denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143, 144, 146, 151 e 156 c.c., e degli artt. 115, 116 e 244 c.p.c., nonché vizio di motivazione - si duole che la Corte di appello abbia respinto la domanda di addebito della separazione al M., formulata con riferimento alla mancata fissazione della residenza familiare dei coniugi fuori dalla (omissis) e, in particolare, alla fissazione di detta residenza in (omissis) in assenza di una volontà comune e concordata dei coniugi medesimi.
A tale riguardo, la ricorrente deduce che:
1.1. l'art. 144 c.c., rimette la scelta della fissazione della residenza familiare - che rientra nel più ampio impegno di concordare l'indirizzo della vita familiare - alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che tale fissazione deve costituire il frutto dell'intesa coniugale; la Corte di merito, invece, pur riconoscendo che l'esistenza delle istanze di trasferimento fuori dalla Sardegna avanzate dal M. erano idonee ad avvalorare la volontà concordata dei coniugi di stabilirsi fuori dalla Sardegna, ha poi illogicamente sviato dal dettato normativo e dalle risultanze istruttorie, considerando tale accordo un progetto futuro non immediatamente vincolante; la Corte inoltre, con ulteriore e contraddittoria argomentazione, dopo aver escluso che l'intesa fra i coniugi rientrasse tra le prescrizioni di cui all'art. 144 c.c., ha comunque giustificato la mancata realizzazione di tale intesa, così implicitamente considerando l'intesa stessa come accordo assunto ai sensi dell'art. 144 c.c.;
1.1.1. non risponde al vero che la iniziale volontà del M. di trasferirsi fuori dalla Sardegna abbia trovato oggettivi impedimenti e non sia successivamente mutata rispetto all'intesa raggiunta con la moglie; infatti, dalla mera presentazione di istanze di trasferimento - che pure costituiva prova idonea a dimostrare l'accordo tra le parti - la Corte di appello non poteva ragionevolmente trarre la conseguenza che il M. avesse fatto tutto quanto rientrava nelle sue possibilità per realizzare l'intesa coniugale in ordine alla fissazione della residenza familiare nel Lazio, o comunque fuori dalla Sardegna, e che egli non avesse invece radicalmente mutato la propria volontà sul punto; ciò in quanto l'occupazione lavorativa del M. non poteva costituire ostacolo alla realizzazione dell'accordo tra i coniugi, atteso che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, non è affatto necessario che il domicilio e la residenza personale dei coniugi coincidano con la residenza familiare; di conseguenza la mancata impugnazione dei punteggi attribuiti per il trasferimento, o del mancato inserimento in graduatoria (che per l'anno 1997 risultava errata per tabulas), costituiscono la dimostrazione di un'indubbia volontà oppositiva da parte del M.;
1.1.2. la Corte territoriale ha erroneamente considerato che talune dimostrate circostanze di fatto - quali la presentazione da parte del M. di istanze di inserimento del proprio nominativo negli elenchi dei medici convenzionati del Lazio e della Toscana, oppure il collegamento tra l'istituzione della temporanea residenza ad (omissis) con lo svolgimento della professione di medico del marito, ovvero la rinuncia della L. al rapporto di lavoro con la Confcommercio di Roma e le pressanti richieste del marito affinché la medesima facesse definitivo rientro in (omissis) - costituissero elementi che deponevano coerentemente a favore della concorde fissazione della residenza familiare ad (omissis) e del consenso della moglie a tale soluzione e non già un mero contributo da parte della medesima alla conservazione del rapporto coniugale, già intimamente tradito dal marito, che convincendo la moglie della temporaneità della abitazione di (omissis) attraverso la presentazione delle istanze di trasferimento l'aveva poi condotta ad una situazione completamente diversa dalle intese coniugali che avevano fondato la scelta matrimoniale; al contrario le pressanti richieste del marito alla L. di far definitivo ritorno in (omissis) dimostrano l'esistenza tra i coniugi di volontà divergenti, che escludevano la concorde intesa prevista dall'art. 144 c.c.; erroneamente, inoltre, la Corte di appello ha attribuito alle dimissioni dal lavoro della L. il significato di un suo consenso a trasferirsi definitivamente in (omissis), anziché di un tentativo di salvare il matrimonio, così imputando soltanto ad un coniuge l'onere di salvaguardare l'unità familiare;
1.1.3. la sentenza di appello si pone inoltre in aperta violazione del principio di uguaglianza morale e giuridica fra i coniugi, fissato dall'art. 29 Cost., comma 2, e dall'art. 143 c.c., comma 1, per effetto del quali è la regola del consenso ad informare la dinamica dei rapporti coniugali, come stabilito anche dall'art. 144 c.c., a garanzia della stabilità della famiglia; invero i giudici di appello, nel ritenere che le preminenti esigenze della famiglia, ai sensi dell'art. 144 c.c., fossero ragionevolmente identificate nella salvaguardia dell'attività professionale del marito, in quanto meglio retribuita e più vantaggiosa per la famiglia, hanno del tutto trascurato tale principio, prescindendo dal tener conto di qualsiasi volontà concordata tra i coniugi e dal valutare le esigenze di tutta la famiglia e quindi anche della L., omettendo in particolare di considerare che il M., alla luce di una corretta interpretazione dell'art. 144 c.c., e in un'ottica di rispetto delle esigenze della famiglia, ben avrebbe potuto e dovuto fissare la residenza familiare in (omissis) o nel (omissis), continuando a lavorare in (omissis), così da permettere alla moglie di conservare il proprio lavoro, e affrontando quel pendolarismo già sostenuto per due anni dalla L..
2. Con il secondo motivo la ricorrente - denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 151 c.c., e artt. 112, 115, 116 e 244 c.p.c., nonché vizio di motivazione - si duole che la Corte di merito, ignorando la complessiva produzione documentale in atti, erroneamente valutando come generica la prova testimoniale e negando l'espletamento della consulenza medicopsichiatrica sulla persona del M., abbia escluso l'addebito della separazione al M. medesimo e, in particolare, abbia ritenuto non provati gli atti di violenza fisica da questo compiuti ed erroneamente considerato non rilevanti, ai fini dell'addebito, comportamenti tenuti dal marito successivamente al provvedimento presidenziale di separazione, omettendo altresì di pronunciarsi sui maltrattamenti verbali posti in essere dal M., da lei denunciati in sede di separazione nell'udienza presidenziale e riferiti da una teste.
3. Con il terzo motivo la L. prospetta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 29 e 32 Cost., artt. 143, 144, 146 e 151 c.c., e artt. 115, 116 e 244 c.p.c., nonché vizio di motivazione - per avere la Corte di merito escluso l'addebito della separazione al M., avendo ritenuto sfornita di prova la compressione materiale e spirituale asseritamente subita dalla L. stessa da parte del marito. In particolare la ricorrente censura la valutazione delle prove testimoniali e delle complessive risultanze processuali da parte della Corte territoriale, la quale non ha escluso che il M. ha mancato di fornire alla moglie il proprio sostegno morale e psicologico in occasione della nascita del figlio, ma si è preoccupata di giustificare il comportamento del marito, arrivando a ritenere ingiustificata la scelta della L. di trattenersi a (omissis) sia durante la gravidanza che dopo la nascita della figlia, negando così alla moglie il diritto di scegliere il medico di fiducia e imputandole di non aver preferito affidarsi ai criteri e alle scelte del marito, medico convenzionato con la ASL di (omissis).
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione, e si deduce che la Corte di merito si è pronunciata in modo insufficiente, illogico e contraddittorio in ordine al motivo di addebito della separazione, contestato dall'appellante con riferimento all'agiatezza economica del M. che questi non le avrebbe consentito di godere. La ricorrente deduce in particolare che la Corte di appello avrebbe dovuto far riferimento, oltre che alla cointestazione del conto corrente bancario, anche alla consistenza di tale conto, tanto più che, dalla documentazione versata in atti, era risultato che su tale conto veniva depositata soltanto la retribuzione del marito percepita dalla ASL e che il M. era proprietario di appartamenti ed aveva investito somme liquide attraverso un servizio di gestione patrimoniale, che provvedeva a regolari accrediti presso un proprio conto fiduciario.
5. Con la successiva censura la L. lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143, 151 e 156 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione, e critica la sentenza per averle i giudici di appello addebitato la separazione, così negandole il diritto all'assegno di mantenimento. In particolare la ricorrente deduce che non può ipotizzarsi a suo carico la violazione dell'obbligo di convivenza, non avendo i coniugi mai fissato una stabile residenza familiare e non potendosi ragionevolmente considerare tale l'abitazione temporanea di (omissis), a causa della mancanza di una volontà concordata e conforme tra i coniugi; inoltre il suo trasferimento a (omissis) non poteva essere ritenuto causa determinante e definitiva della fine del rapporto coniugale, dovendosi tener conto dell'apporto causale fornito dalla condotta del marito, il quale, oltre a non opporsi al comportamento della moglie, rimanendo per svariati mesi in una posizione di sostanziale indifferenza e acquiescenza alla situazione di fatto venutasi a creare, le aveva negato assistenza morale e materiale in occasione della nascita della figlia e le aveva impedito di godere della propria agiatezza economica, e considerato che il proprio allontanamento da (omissis) si era verificato una volta che era divenuta intollerabile la vita in comune dei coniugi.
6. Con il sesto motivo la ricorrente - denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 433, 438 e 2697 c.c., e artt. 115, 116 183 e 184 c.p.c., nonché vizio di motivazione - deduce che la Corte le ha erroneamente e illogicamente negato l'assegno alimentare previsto dall'art. 433 c.c., senza consentirle di svolgere le proprie difese e di allegare idoneo materiale probatorio, respingendo, nell'unica udienza tenutasi nel giudizio di appello, la sua richiesta di deposito di note e documenti e così impedendo la dimostrazione del suo stato di bisogno e dell'impossibilità di provvedere al proprio mantenimento. In particolare, la L. lamenta che le prove prese in considerazione dai giudici di appello per negare l'esistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno alimentare erano quelle assunte nel giudizio di primo grado, e quindi riferite ad un periodo di tempo di molto anteriore alla domanda spiegata in sede di giudizio di appello, laddove la Corte di merito, una volta preso atto dell'appello incidentale svolto dalla L. in udienza, avrebbe dovuto consentire la prova dell'esistenza dei menzionati presupposti con riferimento alla situazione esistente nel momento in cui la relativa domanda era stata formulata.
7. Con il settimo motivo la ricorrente, denunciando vizio di omessa pronuncia nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 148 e 155 c.c., critica la sentenza impugnata, per non avere i giudici di appello provveduto sulla sua richiesta di ottenere il pagamento delle spese straordinarie necessarie per il mantenimento delle figlia minore.
8. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., nonché vizio di motivazione, e si deduce che erroneamente e illogicamente la L. è stata considerata totalmente soccombente e condannata alla refusione integrale delle spese del doppio grado di giudizio, senza considerare che alcune sue domande sono state accolte in primo grado ed altre in sede di appello; in particolare nel giudizio di secondo grado sono state integralmente accolte le domande da lei formulate in ordine all'affidamento della figlia, all'assegno di mantenimento della medesima e alla modifica delle modalità di visita del padre.
9. Con il nono motivo - denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 184, 126, 112 113, 115 163 e 167 c.p.c., nonché vizio di motivazione - si critica la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale respinto l'eccezione di decadenza del M. dalle richieste istruttorie sollevata dalla L.. Afferma la ricorrente che il M. non ha articolato mezzi di prova, nemmeno avanzando istanze o riserve in tale senso, né nella comparsa di costituzione, né nelle successive note autorizzate, e non ha richiesto i termini di cui all'art. 183 e 184 c.p.c., e che neppure all'udienza fissata dal giudice ex art. 184 c.p.c., la difesa del M. ha formulato istanze istruttorie, con la conseguenza che non avrebbero potuto essere ammessi mezzi di prova da lui mai richiesti e che, a seguito dell'istanza avanzata dalla difesa della L. ex art. 184 c.p.c., il M. avrebbe potuto ottenere solo un termine per replicare, ma non per formulare per la prima volta richieste istruttorie.
10. Con il decimo motivo, denunciandosi violazione degli artt. 99, 100, 101, 115, 116, 183, 184 e 345 c.p.c., art. 24 Cost., e art. 2697 c.c., si critica la decisione impugnata, per non avere la Corte di merito consentito alla L. lo svolgimento di alcuna delle attività istruttorie richieste con l'atto di appello e per aver deciso la controversia sulla base di documentazione non aggiornata, erroneamente respingendo anche le istanze di acquisizione di documenti formulate ex art. 213 c.p.c.
11. Il primo e il quinto motivo vanno opportunamente esaminati congiuntamente, in quanto attinenti a questioni strettamente connesse. Rileva al riguardo il collegio che, mentre è privo di fondamento il motivo con il quale la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia respinto la domanda di addebito della separazione al M., con riferimento alla fissazione della residenza familiare in (omissis), e comunque alla mancata fissazione di detta residenza fuori dalla (omissis), in assenza di volontà comune e concordata dei coniugi, merita accoglimento, nei termini qui di seguito precisati, la doglianza con la quale la L. critica la sentenza per averle addebitato la separazione.
11.1. Quanto all'addebito della separazione al M. in conseguenza della fissazione della residenza familiare in (omissis), la Corte di appello, con idonea motivazione immune da vizi logici, ha accertato in fatto che, diversamente da quanto sostenuto dalla L., le risultanze istruttorie non avevano dimostrato l'esistenza di un asserito accordo dei coniugi circa la fissazione della residenza familiare a (omissis), o comunque nel (omissis), anziché in (omissis) dove il M. svolgeva la professione di medico, emergendo invece dagli atti soltanto la prova di un progetto di futuro trasferimento fuori dalla (omissis), a (omissis) o a (omissis), purché compatibile con le esigenze professionali del marito e quindi subordinato alla sua concreta fattibilità, e non di un vero e proprio accordo immediatamente vincolante, la cui inosservanza potesse essere considerata come violazione, conseguente ad una condotta dolosa o colposa del M., di uno specifico dovere nascente dal matrimonio e quindi come motivo di addebito della separazione al marito, del quale era rimasta altresì provata, mediante produzioni documentali e prove testimoniali, la volontà di attuare tale progetto, attraverso la presentazione di domande di partecipazione a graduatorie pubbliche di medici del (omissis) e della (omissis) e in particolare presso alcune ASL di (omissis).
11.1.1. Sulla base di tale compiuto e motivato accertamento, non sussiste la violazione da parte della Corte di merito delle norme del codice civile indicate dalla ricorrente, correttamente applicate dai giudici di appello, che hanno escluso, attraverso le risultanze processuali acquisite, la violazione da parte del M. di specifici doveri in ordine alla fissazione della residenza familiare.
Le ulteriori doglianze sollevate al riguardo dalla L. si risolvono in censure di fatto all'accertamento computo dalla Corte di appello, al quale la ricorrente ha contrapposto una propria e diversa valutazione delle risultanze processuali, così inammissibilmente mirando alla revisione da parte della Corte di legittimità delle valutazioni effettuate e delle conclusioni raggiunte dal Giudice di merito (Cass. 2000/5806; 2003/17651; 2004/15675).
Trova applicazione nella specie il principio, più volte enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (Cass. 2003/12467), o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta (Cass. 2001/7476) o che siano attinenti al difforme apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 2007/7972; 2007/13954), spettando soltanto al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 2001/4667; 2003/10330; 2003/11918).
11.2. Per quanto riguarda le critiche mosse dalla ricorrente alla sentenza impugnata nella parte in cui le è stato confermato l'addebito della separazione, osserva il collegio che la dichiarazione di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l'art. 143 c.c., pone a carico dei coniugi, ma implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (Cass. 2001/12130; 2005/12383; 2006/14840).
In particolare l'abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione, quando tale abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto (Cass. 2001/10682; 2005/12373).
11.2.1. La Corte di appello - nell'affermare che il definitivo allontanamento della L. dall'abitazione familiare di (omissis) per trasferirsi con la figlia a (omissis) dalla propria madre nell'(omissis), dopo che già in precedenza durante il matrimonio la medesima aveva preso a trascorrere nella capitale lunghi periodi, configurava una condotta della moglie in aperta violazione dell'obbligo di coabitazione derivante dal matrimonio, come stabilito dall'art. 143 c.c., comma 2, e costituiva causa della definitiva rottura del rapporto coniugale, in quanto non giustificato da comportamenti del marito contrari ai doveri nascenti dal matrimonio - non si è uniformata ai principi sopra enunciati in tema di addebito della separazione.
Invero nella fattispecie - caratterizzata, secondo quanto emerge dalla stessa sentenza impugnata, da un originario, forte e non composto dissenso tra i coniugi in ordine alla individuazione della località dove fissare la residenza familiare - l'oggetto dell'accertamento demandato ai giudici di appello non riguardava l'esistenza di una causa di giustificazione in ordine all'allontanamento della moglie dalla residenza familiare, conseguente a comportamenti del marito contrari ai doveri derivanti dal matrimonio, ma l'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta addebitata alla L. e il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza tra i coniugi. Tale accertamento è completamente mancato da parte del giudice di secondo grado, sebbene dalla stessa sentenza impugnata risultino circostanze - non specificamente valutate dalla Corte di merito in funzione dell'accertamento medesimo, con conseguente carenza di motivazione su circostanze di fatto decisive ai fini della decisione della controversia - potenzialmente idonee a dimostrare sia l'esistenza di un originario e mai risolto dissenso tra i coniugi sull'individuazione del luogo dove fissare la residenza familiare, sia il progressivo degenerare del rapporto tra i coniugi stessi in conseguenza di detto dissenso e il determinarsi di una irreversibile crisi coniugale, tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Infatti i giudici di appello, pur escludendo l'esistenza tra la L. e il M. di un accordo direttamente e immediatamente vincolante in ordine alla fissazione della residenza familiare a (omissis) o nel (omissis), e comunque fuori dalla (omissis), hanno accertato l'esistenza di un progetto futuro in tal senso, a cui lo stesso M. ha cercato nel tempo di dare attuazione senza successo, così evidenziando un mai sopito interesse della L. a non consolidare come residenza familiare quella fissata in (omissis), interesse confermato anche dai suoi frequenti trasferimenti a (omissis), presso la madre, sia dopo il matrimonio che successivamente alla nascita della figlia, e dalle pressanti richieste del marito perchè la stessa facesse definitivo rientro in (omissis).
11.2.2. Nel contesto di tali accertate circostanze di fatto, assume rilievo il principio fissato dall'art. 144 c.c., secondo cui la scelta della residenza familiare è rimessa alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che tale scelta non deve soddisfare soltanto le esigenze economiche e professionali del marito, ma deve soprattutto salvaguardare le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della serenità della famiglia (cfr. Cass. 1981/4067). La Corte di appello, nell'affermare, a sostegno della decisione impugnata, che le preminenti esigenze della famiglia, ai sensi dell'art. 144 c.c., dovevano essere ragionevolmente identificate con l'esigenza di salvaguardare l'attività professionale del marito, presumibilmente meglio retribuita e quindi di fatto più vantaggiosa per la famiglia medesima (tanto più che poco tempo dopo il matrimonio la L. aveva scoperto di essere incinta)), non ha correttamente applicato il disposto dell'art. 144 c.c., nel senso sopra enunciato, trascurando di valutare, ai fini dell'accertamento della sussistenza o meno del nesso di causalità tra il comportamento della L. e il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza tra i coniugi, le complessive esigenze della famiglia, nell'ottica imposta dalla citata disposizione, anche alla luce di quelle personali della moglie, proprio in relazione al suo stato di gravidanza e di successiva maternità e quindi alle conseguenti prospettive del nucleo familiare allargato.
12. L'accoglimento, nei termini esposti nel precedente paragrafo, del ricorso della L. nella parte relativa alle censure mosse all'addebito nei suoi confronti della separazione comporta l'assorbimento delle doglianze relative al mancato riconoscimento in favore della stessa ricorrente di un assegno di mantenimento (seconda parte del quinto motivo) e di un assegno alimentare (sesto motivo), nonché di quella, peraltro genericamente proposta, relativa al mancato accoglimento delle richieste istruttorie formulate dalla L. con riferimento alla richiesta di concessione di detti assegni (decimo motivo), e della ulteriore doglianza relativa alla regolamentazione delle spese del doppio grado del giudizio di merito (ottavo motivo).
13. Sono invece inammissibili, alla luce dei principi enunciati al precedente paragrafo 11.1.1., le censure mosse nel secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, con le quali la L. critica la decisione della Corte di appello, che ha escluso l'addebito della separazione al M. anche sotto gli ulteriori profili contestati con riferimento agli atti di violenza fisica e ai maltrattamenti verbali asseritamente posti in essere dal marito, alla, compressione materiale e spirituale subita della stessa L. in conseguenza del comportamento del M. e al mancato godimento da parte della moglie dello stato di agiatezza economica in cui versava il marito.
Rileva infatti il collegio che, con accertamento di fatto congruamente motivato e immune da vizi logici, la Corte di appello ha escluso la sussistenza dei presupposti dedotti dall'appellante a fondamento delle proprie contestazioni, o comunque ha ritenuto non provate le circostanze indicate al riguardo dalla L. Non sussiste pertanto la dedotta violazione delle norme di diritto indicate dalla ricorrente, correttamente applicate dai giudici di appello sulla base degli accertamenti compiuti, mentre le censure della ricorrente attengono ad una diversa ricostruzione e valutazione delle risultanze processuali, così mirando ad una non consentita revisione da parte della Corte di legittimità delle conclusioni raggiunte dal Giudice di merito.
14. È invece priva di fondamento la censura articolata con il settimo motivo, risultando dalla sentenza impugnata che i giudici di appello, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, hanno puntualmente preso in considerazione la domanda dell'appellante di porre a carico del M. anche le spese straordinarie riguardanti la figlia e si sono espressamente pronunciati su tale domanda, rigettandola in quanto non risultava documentata la necessità di spese straordinarie (v. pag. 20 della sentenza impugnata).
15. Parimenti infondata è la doglianza sollevata con il nono motivo di ricorso, risultando dalla sentenza impugnata e dal contenuto della stessa censura che il M. ha legittimamente articolato i propri mezzi istruttori nel rispetto del termine fissato a pena di decadenza dall'art. 184 c.p.c., comma 1, e concesso dal Giudice istruttore su istanza di parte. Non sussiste pertanto la violazione processuale dedotta dalla ricorrente.
16. Le considerazioni che precedono conducono all'accoglimento del ricorso, nei termini indicati nei precedenti paragrafi 11.2., 11.2.1. e 11.2.2., con riferimento alle censure mosse dalla L. all'addebito nei suoi confronti della separazione. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata ad altro giudice, individuato nella Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, che provvedere anche a regolare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 1° luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2008