Unione Degli Avvocati d'Italia

Sezione di Barletta

 
   
mercoledì 27 novembre 2024 - ore 07:33
Tribunale di Trani, I Sezione Penale, sentenza 20-27 marzo 2008, n. 195
sabato 1 novembre 2008 - Pubblicazione a cura di Luigi Piazzolla

Bancarotta -relazioni del curatore fallimentare - ammissibilità - utilizzabilità.
Bancarotta fraudolenta per distrazione - elemento oggettivo - elemento soggettivo - dolo generico.
Bancarotta fraudolenta - bancarotta semplice - differenze - elemento soggettivo.


TRIBUNALE DI TRANI
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Il Tribunale Penale di Trani, Sezione Prima composta da:
1. dott. Francesco MESSINA Presidente
2. dott. Lorenzo GADALETA Giudice
3. dott. Giuseppe G. INFANTINI Giudice
ha pronunciato e pubblicato, dando lettura del dispositivo, alla udienza dibattimentale del 20.03.2008 la seguente
 
SENTENZA

nei confronti di: Tizio, nato a (omissi), ivi res. a (omissis)  - libero,contumace - dif. uff. avv. Mevio -
IMPUTATO
del reato di cui all’art.216, co.l°, nn.l e 2, 219, 20 co. n.1, L.F., perché, nella qualità di titolare della ditta individuale di commercio al dettaglio di prodotti surgelati, con sede in Barletta, (omissis), dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Trani del 16.3.2005, commetteva più fatti di bancarotta fraudolenta, in pregiudizio dei creditori, in particolare:
• Non teneva il libro giornale e il libro degli inventari, alla tenuta dei quali era tenuto per legge, così impedendo la ricostruzione del patrimonio e del volume degli affari dell’impresa;
• Sottraeva beni strumentali dell’impresa per Euro 25.302,90.
In Trani, il 16.03.2005.
Con recidiva reiterata infraquinquennale.
CONCLUSIONI
Il P.M. chiede, concesse le attenuanti generiche prevalenti su aggravanti di cui all’art.219 e della recidiva, la condanna ad anni 2 di reclusione.-
Il difensore dell’imputato chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste: in ogni caso, con esclusione dell’aggravante e derubricazione dell’ipotesi di reato da bancarotta fraudolenta in bancarotta semplice, il tutto, previa concessione delle attenuanti generiche o soprattutto per esiguo danno arrecato ai creditori, con concessione dei benefici di legge ove fruibili.
FATTO E DIRITTO
Tizio è stato ritualmente rinviato a giudizio per rispondere dell’imputazione specificata in epigrafe.
In dibattimento le parti hanno concordemente prodotto la relazione del consulente del PM e si è proceduto all’ escussione della curatrice fallimentare; indi, sono state rassegnate le conclusioni come da verbale.
L’imputato è certamente responsabile delle violazioni addebitate dalla pubblica accusa, riunite sul piano giuridico in seno all’aggravante dell’art. 219 secondo comma n.l della L.F..
Sembra opportuna una premessa metodologica onde chiarire gli aspetti della utilizzabilità di alcuni atti ai fini della decisione.
In tema di prova documentale (art. 234 cod. proc. pen.), le relazioni redatte dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitive di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fme di ricostruire le vicende ‘amministrative della società. Ne consegne che è corretto 1’inseriment della relazione diretta al giudice delegato nel fascicolo processuale, in quanto il principio di separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti rispetto all’inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da accertare (Cass. pen sez V n.39001/04; Cass. pen. sez. V n.7961/98).
Passiamo all’esame del merito della vicenda.
In data 16/03/2005 il Tribunale di Trani dichiarò il fallimento di Tizio, esercente l’attività di commercio al dettaglio di prodotti surgelati.
Dalla relazione ex art. 33 L.F., redatta dalla curatrice Avv. A. P. D. in data 07/09/2005, emerge quanto segue: l’attività dell’impresa fallita, avente ad oggetto il commercio al dettaglio di prodotti surgelati, era iniziata il 01/06/1999 ed era solo formalmente cessata il 31/03/2004, per quanto denunciato alla C.C.I.A.A.; infatti l’imputato, trasferitosi da Piazza (omissis) a Via (omissis), aveva continuava concretamente ad esercitare l’attività commerciale per il tramite dell’intestazione fittizia della licenza a favore di Caio; i sigilli erano stati apposti in effetti nei locali di Piazza (omissis), dove si era proceduto alla redazione dell’ inventano.
La curatrice, escussa in dibattimento, ha confermato che al momento dell’accesso in tale locale era stato trovato l’Tizio, dedito alla vendita ed impegnato alla cassa; questi aveva riferito che l’attività era intestata a Caio, nato (omissis).
Non vi sono in realtà dubbi sul fatto che l’imputato avesse continuato ad esercitare la propria attività, tanto alla luce di alcuni elementi univocamente orientati in tale direzione: in Piazza (omissis) era stata lasciata l’insegna “Tizio Surgelati” ed era stato apposto un cartello con l’indicazione della nuova ubicazione dell’esercizio in via (omissis); al momento dell’accesso in tale negozio non era stato mostrato alcun contratto di cessione di azienda da parte dell’imputato a favore del Caio; una documentazione di questo genere non è stata prodotta nemmeno in seguito; in quel frangente non era stata esibita neanche documentazione inerente all’acquisto dei prodotti da parte del Caio e del resto gran parte della merce recava ancora l’indicazione “Tizio Surgelati”; Caio era solo “un ragazzo” intestatario di una licenza (v. deposizione della curatrice).
E’ allora chiaro che il Caio fosse solo un prestanome e consentisse all’imputato di proseguire l’attività imprenditoriale senza una diretta esposizione personale.
Vanno soppesati altri dati emersi dalla relazione del dott. R. M., consulente del PM: dalla vendita dei beni di cui all’inventario fallimentare era stati ricavati euro 4.907,50; dal bilancio depositato alla data di dichiarazione del fallimento risultavano costi per euro 36.539,31, ricavi per euro 13.434,35 e perdite di euro 23.104,96; la curatrice aveva ricevuto il registro Iva acquisti, il registro iva vendite, il registro dei corrispettivi ed il registro dei beni ammortizzabili; mancava il libro giornale, perchè il fallito si era avvalso della normativa fiscale che consentiva di tenere solo i libri Iva quando i ricavi erano inferiori ad € 516.456,90.
Tuttavia, l’art. 2214 cc dispone che l’imprenditore che esercita un?attività commerciale debba munirsi di libro giornale e libro degli inventari.
Come sottolineato dal dott. M. la circostanza non è trascurabile, perchè, mentre con questi libri, se regolarmente tenuti, è possibile la ricostruzione del patrimonio e del volume di affari, altrettanto non è possibile con la sola tenuta dei registri fiscali nei quali, come è noto, non avvengono le registrazioni dei movimenti finanziari, la cui conoscenza è indispensabile per valutare l’osservanza della par condicio creditorum.
Peraltro, il dott. M. ha soppesato anche le modalità di tenuta dei registri contabili da parte del fallito, appurando quanto segue: il registro iva acquisti contiene la registrazione di operazioni dal 29/04/00 al 31/1203, sino a pag. 83, essendo rimaste in bianco le rimanenti pagine; il registro iva vendite contiene le operazioni di vendita dal 03/11/2001 al 31/12/2003; il registro dei corrispettivi contiene le operazioni dal 27/04/2000 al 31/12/2003; il registro dei beni ammortizzabili riporta determinati beni strumentali (banco cassa per valore residuo di euro 564,22; isola per surgelati per un valore residuo di euro 623,10; portaprezzi e scaffalatura per un valore residuo di euro 3.192,38; registratore di cassa Vandoni per un valore residuo di euro 309,88; scanner LS5700 per un valore residuo di euro 255,64; bilancia elettronica AURORA per un valore residuo di euro 826,33; misuratore fiscale del valore residuo di euro 759,27; scanner del valore residuo di euro 397,60; termosoldi e stampo doppio per un valore residuo di 5.916,62; bilancia BC812 per un valore residuodi euro 712,50; climatizzatore DAEWOO per un valore residuo di euro 1.300,82; impianto elettrico per un valore residuo di euro 1.549,36; murale frigo da cm. 195 per un valore residuo di euro 1.471,90; tre banchi frigoriferi MOD. ADELAIDE per un valore residuo di euro 1.103,93; conservatore vetri Monoliti per un valore residuo di euro 1.447,31; conservatore vetri Monoliti per un valore residuo di euro 4.583,16; vetrina frigo Star 42 per un valore residuo di euro 929,88,; il tutto per un valore di euro 25.302,90).
Va chiarito che dall’ inventano redatto dalla curatrice risultano acquisiti i seguenti beni strumentali:
n. 8 banconi frigoriferi marca Iarp portata 200 NR; n. 2 banconi frigoriferi marca Iarp portata 150 NR; n. i bancone frigorifero marca Surfrigo; n. i bancone frigorifero marca Mondial Elite; n. 1 bancone frigorifero Bonnet Nèvè; n. 1 frigo verticale marca Iarp; n. i bilancia Bizerba BC800 elettronica; n. i registratore di cassa marca Ditron; il tutto per il valore di stima totale di euro 2.400,00.
Nello stesso inventario sono riportate merci per il valore di stima totale di 2.377,00.
Ebbene, come giustamente segnalato dal consulente del PM, non traspare coincidenza tra i beni strumentali di cui ai registro dei beni ammortizzabili e quelli inventariati: i primi, quindi, non sono stati consegnati; i secondi non risultano annotati nel registro.
I beni strumentali e le merci non sono riportati nel bilancio depositato alla data del fallimento. Inoltre dallo stato passivo risultano essere stati accertati i seguenti debiti: privilegiati per euro 6.220,05; chirografari per euro 87.747,40.
L’ammontare del dissesto è quindi rappresentato dalla differenza pari a euro 89.190,45 e, considerando che 1 attivo è molto modesto, neanche sufficiente a coprire le spese della procedura, deve concludersi, come osservato dal CT del PM, che i creditori non otterranno alcuna assegnazione.
Da quanto esposto deriva che il fallito non ha consegnato i beni strumentali annotati nel registro beni ammortizzabili. per il valore complessivo di euro 25.302,90, la cui singola descrizione non corrisponde a quello dei beni strumentali acquisiti dalla curatrice per un valore di euro 2.400,00.
Tale mancata consegna concreta un atto di distrazione reso in pregiudizio alle ragioni della massa dei creditori.
Infatti, in tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta.. il mancato rinvenimento. all’ atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori a disposizione dell’imprenditore, costituisce, qualora non sia da questi giustificato, valida presunzione della loro dolosa distrazione, probatoriamente rilevante al fine di affermare la responsabilità dell’imputato (per riferimenti giurisprudenziali: Cass. pen. sez. Vn.3-C dei 15.12.2004; n.7726/93; n.9077189).
Giova sottolineare che nella bancarotta per distrazione è sufficiente il dolo generico, senza che sia necessario alcun intento o alcune previsione specifica di arrecare un pregiudizio economico al patrimonio dell’impresa in maniera tale da provocarne la decozione, e conseguentemente ai creditori della stessa, che sul patrimonio aziendale fondano la garanzia per il soddisfacimento delle loro ragioni creditorie (Cass. pen. n.6992/88).
In ogni caso all’imputato non poteva sfuggire la circostanza che, con le prefate operazioni effettuate, i suoi creditori potessero risultare danneggiati ed il danno arrecato non appare di certo di modesta entità, anche ad ammettere una certa approssimazione nella stima finale del valore dei beni.
In giurisprudenza si è pure precisato che la rappresentazione del fallimento esula dall’elemento soggettivo del reato; ne consegue che è irrilevante che nell’agente manchi la consapevolezza di poter fallire, anche perché, oltretutto, siffatta convinzione si risolverebbe in errore sulle legge extrapenale, richiamata da quella penale (Cass. pen. n.17044/01).
La Suprema Corte ha poi recentemente ribadito che “il dolo che sorregge la penale responsabilità secondo l’indicazione normativa è quello meramente generico, polarizzato sull’attività compiuta e non sulla eventuale e futura dichiarazione d’insolvenza” (Cass. pen. sez. V n.523/07).
Nel presente caso, per l’imprenditore era evidente che le condotte contestate costituissero perdita di ricchezza, mai più compensata da un riequilibrio economico.
Come rimarcato dal dott. M., occorre aggiungere che il fallito, tenendo semplicemente la contabilità fiscale, non ha adempiuto agli obblighi dell’art. 2214 c.c., che impone la ténuta del libro giornale e del libro degli inventari, ed ha così impedito la ricostruzione del patrimonio e del volume di affari dell’impresa.
La circostanza che non sia stata messa a disposizione la contabilità fiscale per l’ultimo periodo consente di apprezzare un approccio doloso da parte dell’imputato.
Ai fini della configurazione dei delitto contestato del resto è peraltro sufficiente il dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza che quella condotta renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio.
Non occorre pertanto che la volontà sia protesa ad impedire le conoscenze relative al patrimonio o al movimento degli affari, essendo sufficiente la consapevolezza che la mancata consegna dei libri e delle scritture contabili sia suscettibile di produrre quei risultato.
Si deve ricordare inoltre che la differenza tra la fattispecie di cui all’art. 216, n. 2, e quella di cui all’art. 21 -, comma 2 (figura di reato che l’imputato vorrebbe applicata, in luogo della più grave ipotesi di fraudolenza) riposa sulla diversa fondamentale tipologia di connotazione soggettiva, richiedendo la prima il dolo e .la seconda anche la mera forma colposa.
Nella spezie la condotta dell’imputato non può che fondarsi su un coefficiente doloso mirante a pregiudicare i creditori, se solo si ponderi anche l’eloquente atteggiamento mistificatorio posto in essere per eludere le istanze dei creditori, sfruttando a tal fine il giovane Caio come prestanome nella materiale prosecuzione dell’attività imprenditoriale dopo la, solamente formale, dichiarazione di cessazione dell’attività presso la Camera di Commercio.
Per adeguare la sanzione al caso concreto ed alla personalità dell’imputato possono essere comunque concesse le attenuanti generiche in misura prevalente sulle aggravanti contestate. Va al riguardo puntualizza:o che la recidiva è collegata solo ad una simulazione di reato commessa nel lontano 1990 e che per tale verso all’attualità non si apprezza una maggiore pericolosità sociale dell’imputato.
In ogni caso non possono essere obliterate alcune osservazioni offerte dalla curatrice fallimentare in udienza a vantaggio della posizione peculiare del giudicato: all’atto dell’accesso nell’abitazione dell’imputato lei aveva constatato che costui viveva in condizioni “abbastanza precarie”; la moglie del prevenuto era gravemente ammalata ed impossibilitata allo svolgimento di qualsiasi movimento; l’uomo assolveva ogni compito in famiglia, badando anche al figlio piccolo.
Le attenuanti generiche, legate alla particolare condizione personale di Tizio, consentono la riduzione della pena base di un terzo.
Equa ed adeguata ex art. 133 cp è quindi la sanzione indicata in dispositivo, interamente condonata in base al disposto della legge 241/06.
Conseguono le sanzioni accessorie previste dalla norma contestata.
PQM
Letti gli artt. 533-535 c.p.p. dichiara Tizio colpevole del reato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Dichiara il predetto Tizio inabilitato all’esercizio di una impresa commerciale per dieci anni e incapace per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. Dichiara interamente condonata la pena detentiva inflitta.
Si riserva giorni 30 per la motivazione.
Trani 20.3.2008
                                                                       Il Giudice estensore                                          Il Presidente