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Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 04.07.2008, n. 18499
domenica 26 ottobre 2008 - Pubblicazione a cura di Angela Lorusso

Contratto di lavoro, part time, trasformazione in full time, legittimità
Un contratto di lavoro a tempo parziale può trasformarsi in contratto di lavoro a tempo pieno non solo a seguito di una esplicita concorde espressione di volontà delle parti interessate, ma anche quando tale volontà sia desumibile dal concreto riferimento alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, quanto all'orario di lavoro effettivamente osservato (cfr. ad. es. Cass. 18 marzo 2004 n. 5520).
La costante effettuazione in concreto da parte del dipendente a tempo parziale di un orario di lavoro prossimo a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno, può infatti essere indicativo dell'intervenuto mutamento della volontà contrattuale in ordine alla stabile dimensione quantitativa della prestazione lavorativa.


Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 04.07.2008 n. 18499
 
 
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata in cancelleria il 18 febbraio 2004, la Corte d'appello di Genova ha respinto l'appello proposto da Autostrade per l'Italia s.p.a. avverso la sentenza in data 5 marzo 2001, con la quale il Tribunale della medesima città aveva accolto la domanda di C. G. tendente ad ottenere l'accertamento dell'avvenuta trasformazione a tempo pieno del proprio rapporto di lavoro subordinato come esattore con la società, iniziato il 19 ottobre 1989 come rapporto a tempo parziale per 104 ore mensili.
Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ora ricorso per cassazione la società con un unico, articolato motivo.
Resiste alle domande C. G. con proprio rituale controricorso.
In prossimità dell'udienza di discussione, la società ha depositato una memoria difensiva ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Col ricorso, la società deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su punti decisivi della controversia nonché la violazione dell'art. 2094 c.c. e dell'art. 5, commi 4 e 14 del D. L. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito nella legge 19 dicembre 1984 n. 863.
La difesa della ricorrente sostiene che la Corte avrebbe trascurato di considerare i seguenti decisivi elementi di fatto emersi in istruttoria che, valutati nel loro complesso, avrebbero dovuto condurla alla opposta decisione, proprio sul piano della valutazione della volontà delle parti, come emergente dai loro concreti, effettivi comportamenti: a) il fatto che solo in quindici dei venticinque mesi considerati il ricorrente avesse superato - e in maniera del tutto variabile - le 160 ore mensili; b) la circostanza che le prestazioni eccedenti l'orario normale di 104 ore mensili erano richieste di volta in volta dal capo stazione e il ricorrente poteva rifiutarle e di fatto le aveva qualche volta rifiutate; c) infine il fatto che, anche alla stregua del contratto collettivo, le prestazioni eccedenti l'orario convenuto richieste al lavoratore a tempo parziale erano per questi facoltative.
In maniera irragionevole, la Corte territoriale avrebbe svalutato gli elementi indicati, tra l'altro affermando apoditticamente che la richiesta di prestazione aggiuntiva operata di volta in volta costituisse un elemento attinente alle modalità della stessa irrilevante sul piano considerato e inoltre erroneamente argomentando che "rientra nel diritto del lavoratore rifiutare la prestazione di ore di lavoro straordinario oltre i limiti che la contrattazione collettiva prescrive", così confondendo la situazione del lavoratore a tempo parziale con quella del lavoratore a tempo pieno, per il quale viceversa la prestazione di lavoro straordinario è obbligatoria.
Alle considerazioni riportate, attinenti alla deduzione di erronea valutazione delle risultanze istruttorie e di irrazionalità dell'iter argomentativo seguito, la ricorrente aggiunge infine il rilievo che per legge alla violazione della normativa relativa al contratto di lavoro a tempo parziale conseguono per legge (art. 5, comma 14^ del D.L. n. 726/84) unicamente sanzioni amministrative, mentre solo la successiva legge sul contratto a tempo parziale (art. 3, comma 6 della legge 28 febbraio 2000 n. 61), non applicabile al caso in esame ratione temporis, ma significativa per quanto innoverebbe rispetto alla disciplina precedente, prevede la possibilità per il lavoratore di consolidare in tutto o in parte l'orario di lavoro supplementare svolto, affidando la concreta disciplina della fattispecie alla contrattazione collettiva.
La ricorrente conclude pertanto chiedendo la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, ad altro giudice di merito.
Il ricorso è infondato.
Va premesso che la questione oggetto della controversia è stata correttamente risolta dai giudici di merito sulla base della interpretazione della volontà contrattuale delle parti, quale accertata attraverso la considerazione del loro comportamento effettivamente posto in essere successivamente alla conclusione del contratto di lavoro, ritenuto indicativo della intervenuta consensuale modificazione delle originarie pattuizioni relativamente all'orario di lavoro convenuto.
Sono pertanto estranee alla materia del contendere sia la tematica della eventuale simulazione delle originarie pattuizione tra le parti sia la considerazione relativa al fatto che la legge speciale dell'epoca prevedeva sanzioni amministrative per le violazioni della normativa sull'orario di lavoro del part time, in quanto la soluzione va invece ricercata sul diverso piano della disciplina generale dei contratti, come declinata con riguardo al contratto di lavoro subordinato.
Anche il riferimento effettuato dalla difesa della ricorrente alla disciplina della legge successiva con riguardo alla ipotesi del consolidamento del maggior orario di lavoro prestato dal dipendente a tempo parziale non appare necessariamente significativa della esclusione, in passato, della applicazione all'ipotesi considerata della disciplina generale dei contratti, potendo la legge successiva viceversa rappresentare sul punto una modificazione o una integrazione di quest'ultima.
Ciò premesso, si rileva che sul piano considerato, di interpretazione della volontà dei contraenti alla stregua del consapevole comportamento tenuto nello svolgimento del rapporto di lavoro con riguardo all'orario di lavoro concretamente richiesto e osservato, la valutazione è riservata ai giudici del merito, in quanto giudice del fatto, come tale censurabile in questa sede di legittimità, su specifiche censure dell'interessato, unicamente per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o per carenze o contraddizioni relativamente all'iter logico seguito nelle argomentazioni di sostegno, tali da non consentirne la ricostruzione (cfr., ex ceteris, Cass. 26 ottobre 2007 n. 22536).
Il ricorso in esame non contiene censure di violazione di specifiche norme legali di interpretazione della volontà contrattuale, concentrando le proprie censure sul piano considerato su di una pretesa erroneità e incompletezza di valutazione delle risultanze istruttorie e irrazionalità dell'iter argomentativo seguito.
In proposito, va ribadita la giurisprudenza di questa Corte secondo cui un contratto di lavoro a tempo parziale possa trasformarsi a tempo pieno non solo a seguito di una esplicita concorde espressione di volontà delle parti interessate, ma anche quando tale volontà sia desumibile dal concreto riferimento alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, quanto all'orario di lavoro effettivamente osservato (cfr. ad. es. Cass. 18 marzo 2004 n. 5520).
La costante effettuazione in concreto da parte del dipendente a tempo parziale di un orario di lavoro prossimo a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno, può infatti essere indicativo dell'intervenuto mutamento della volontà contrattuale in ordine alla stabile dimensione quantitativa della prestazione lavorativa.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale laddove ha ritenuto di rilevare tale parziale mutamento dell'oggetto del contratto di lavoro intercorrente tra le parti nel fatto che per ben ventun mesi sui venticinque considerati, il dipendente aveva osservato un orario di lavoro molto prossimo (anche tenendo conto che l'orario contrattuale si riduce normalmente per effetto di permessi, malattie etc.) o eccedente rispetto all'orario di lavoro del full time di 160 ore mensili, mentre ai sensi del contratto collettivo il superamento dell'orario del part time a 104 ore non poteva eccedere il limite massimo di 136 ore).
Quanto agli altri quattro mesi, in cui la prestazione era stata inferiore alle 136 ore, la loro ritenuta irrilevanza sul piano della interpretazione della volontà contrattuale dipende ragionevolmente dalla ridotta percentuale che rappresentano sul totale e appare altresì giustificata dalla possibile incidenza delle ferie in coincidenza col calo di attività degli ultimi mesi dell'anno.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, la Corte territoriale ha poi tenuto adeguato conto della obiezione della società appellante in ordine al carattere facoltativo della prestazione aggiuntiva, pretesamene accertato attraverso le parole stesse del dipendente in sede di risposta all'interrogatorio libero.
La Corte, integrando infatti i richiami operati dall'appellante, ha sostanzialmente accertato che tale facoltatività non si era realizzata nel caso in esame, rilevando come il rifiuto della prestazione (comunque di fatto ritenuto dal dipendente una possibilità per lo più teorica, sconsigliabile sul piano della correntezza del rapporto di lavoro) si fosse in realtà verificato nelle rarissime occasioni in cui la relativa richiesta era avvenuta in ore anomale della giornata ("alle cinque del mattino") per un servizio decorrente dall'ora o da poche ore dopo e quindi ritenendo ragionevolmente che esso non fosse in alcun modo significativo nel senso indicato dalla ricorrente.
Non appare poi contraddittorio il fatto che la Corte abbia ritenuto una mera modalità costante della prestazione il fatto che le ore "eccedenti" (evidentemente rispetto a quelle programmate) venissero richieste al G. di volta in volta, a seconda delle necessità aziendali, mentre la frase censurata di contraddittorietà e relativa alla facoltatività dello straordinario violativo delle norme collettive si riferisce evidentemente al lavoro prestato nell'ambito del rapporto a tempo pieno e comunque rappresenta una considerazione meramente di contorno, sfornita di carattere decisivo ai fini della valutazione operata.
 
Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso è infondato e va respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, secondo le liquidazione effettuata in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
La Corte rigetta il ricorso e condanna Autostrade per l'Italia s.p.a. a rimborsare al G. le spese di giudizio, liquidate in Euro 18,00 per spese ed Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e c.p.a