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Corte Costituzionale, sent. 08/10/2008 (dep. 10/10/2008), n.336
giovedì 23 ottobre 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

Illegittimità costituzionale dell’ art. 268 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate

SENTENZA N. 336

ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità  costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale, promosso  dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con  ordinanza del 22 dicembre 2005, iscritta al n. 570 del registro  ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visto l’atto di  costituzione di N.P.;

udito nell’udienza pubblica del 23  settembre 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in  fatto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di  Catanzaro, con ordinanza del 22 dicembre 2005 (pervenuta alla Corte  costituzionale il 30 ottobre 2006), ha sollevato – in riferimento agli  artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo e terzo comma, della  Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 268  del codice di procedura penale, nella parte in cui consente di non  depositare, o comunque di non mettere a disposizione dell’indagato e  del suo difensore, quando ne facciano richiesta, le registrazioni di  comunicazioni telefoniche poste a fondamento di una misura cautelare  personale già eseguita, anche prima della procedura di deposito  regolata dai commi 4 e seguenti dello stesso art. 268 cod. proc. pen.

Il giudice a quo è chiamato a valutare una istanza di revoca o  sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere disposta  nei confronti di persona accusata dei delitti di associazione di tipo  mafioso (art. 416-bis del codice penale) e usura (art. 644 cod. pen.).  

La misura era stata applicata, alcuni mesi prima, sulla base degli  elementi desunti da intercettazioni telefoniche e «ambientali», che il  pubblico ministero richiedente aveva sottoposto al giudice della  cautela solo per il mezzo di trascrizioni operate dalla polizia  giudiziaria. La difesa dell’indagato aveva sollecitato il pubblico  ministero a consentire l’ascolto e la riproduzione delle registrazioni  originali, contando di dimostrare l’intervenuto travisamento della  prova raccolta. Il magistrato inquirente, però, aveva respinto l’ istanza, argomentando sul perdurante svolgimento delle indagini  preliminari ed assumendo che il diritto difensivo di accesso alle  registrazioni potrebbe esercitarsi solo dopo il deposito degli atti  concernenti l’intercettazione («nella fase del subprocedimento che  andrà ad instaurarsi dinanzi al giudice competente»).

La difesa dell’ indagato si è dunque rivolta al giudice rimettente, con una domanda de  libertate nel cui ambito assume che, nella specie, le trascrizioni di  polizia utilizzate per la ricostruzione del quadro indiziario sarebbero  inaffidabili, in quanto segnate da omissioni e ripetuti riferimenti a  frasi incomprensibili, così da mutare il senso delle conversazioni  intrattenute dall’interessato.

Per tale ragione, ed essendo la cautela  fondata su prove inaccessibili per la difesa, è stata richiesta in via  principale la revoca della misura in corso di esecuzione. In subordine,  la difesa dell’indagato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’ art. 268 cod. proc. pen., per l’asserito contrasto con gli artt. 24 e  111 Cost., «nella parte in cui non prevede il diritto alla  trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni utilizzate in  richiesta custodiale e nella conseguente ordinanza applicativa».

Il  giudice a quo muove dalla premessa che il pubblico ministero avrebbe  negato legittimamente l’accesso della difesa alle registrazioni che  documentano le conversazioni intercettate. A partire dal comma 4, l’ art. 268 cod. proc. pen. regola un procedimento che muove dal deposito  dei verbali e delle registrazioni, e che subordina il rilascio di copie  all’intervenuta celebrazione della cosiddetta udienza di stralcio,  limitandolo dunque alle conversazioni indicate dalle parti e ritenute  ammissibili dal giudice. La scansione dettata dalla norma, a parere del  rimettente, non prevede alcuna deroga per la fase antecedente al  deposito, neppure quando le conversazioni intercettate vengano  utilizzate, a fini probatori, nell’ambito di un incidente cautelare.

Secondo il giudice a quo, la legge non preclude al pubblico ministero  la trasmissione al giudice cautelare dei supporti magnetici o digitali  che riproducono le comunicazioni intercettate. Tuttavia, secondo l’ unanime orientamento della giurisprudenza, la richiesta di cautela può  essere valutata ed accolta anche in base a trascrizioni informali,  curate dalla polizia giudiziaria. In questi casi, la difesa resterebbe  priva di accesso alle registrazioni: queste non sarebbero infatti  comprese, non essendo state trasmesse al giudice, tra gli atti da  depositare, a norma dell’art. 293 cod. proc. pen., immediatamente dopo  l’esecuzione del provvedimento restrittivo; il deposito ai sensi dell’ art. 268 cod. proc. pen., d’altra parte, può essere posticipato fino  alla fine delle indagini preliminari, con ciò ritardando anche l’ esercizio della facoltà difensiva di accesso agli atti ed alle  registrazioni. In sostanza, al pubblico ministero sarebbe consentito di  «non depositare o comunque di non mettere a disposizione dell’indagato  e del suo difensore, che ne hanno fatto richiesta, le registrazioni  delle conversazioni poste a base di una misura cautelare personale».

Il rimettente trova congruo, di fronte all’urgenza tipica dell’ incidente cautelare ed alla perdurante segretezza delle indagini, che  la legge non imponga il deposito delle intercettazioni e gli  adempimenti conseguenti prima dell’uso delle risultanze a fini  cautelari. Tuttavia le esigenze descritte vengono meno dopo la  contestazione degli elementi indiziari acquisiti, e dunque non possono  giustificare la perdurante esclusione della difesa dall’accesso alle  registrazioni, specie quando venga negata la corrispondenza fra le  trascrizioni redatte dalla polizia giudiziaria ed il contenuto  effettivo dei colloqui intercettati.

Il giudice a quo, con specifico  riguardo alla garanzia del diritto di difesa dopo l’esecuzione di un  provvedimento cautelare, ricorda come la Corte costituzionale abbia  dichiarato, con la sentenza n. 192 del 1997, l’illegittimità dell’art.  293 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva la facoltà per il  difensore di estrarre copia degli atti presentati con la richiesta  cautelare. Per quanto escluse dal novero degli atti trasmessi dal  pubblico ministero, le registrazioni dei colloqui intercettati  costituirebbero «la reale fonte di prova» a carico dell’indagato, e  dunque dovrebbero essere per lui accessibili (anche attraverso il  rilascio di copia) come gli ulteriori atti posti a fondamento della  restrizione di libertà. Nell’attuale contesto, la formula del diritto  di «difendersi provando» resterebbe invece priva di contenuto, in  diretta violazione dell’art. 24 Cost.

Secondo il giudice rimettente la  disciplina censurata violerebbe anche il principio di parità tra accusa  e difesa, e comunque il diritto dell’indagato a veder realizzate nel  più breve tempo le condizioni necessarie per preparare la propria  difesa (art. 111 Cost.).

L’intervenuta «pubblicazione» della prova  dopo l’esecuzione del provvedimento restrittivo, infine, porrebbe le  parti processuali su un piano di sostanziale parità, che dovrebbe  implicare uguale trattamento anche nella prospettiva dell’art. 3 Cost.  Ed invece, in base all’attuale disciplina, il pubblico ministero  manterrebbe in via esclusiva la possibilità di accedere alla fonte  «primaria» della prova medesima.

Il rimettente ribadisce che il  diritto difensivo all’accesso non potrebbe considerarsi garantito dal  comma 3 dell’art. 293 cod. proc. pen., dato che il deposito è  prescritto solo per gli atti trasmessi con la richiesta cautelare, atti  che il pubblico ministero non è tenuto ad integrare con l’inserimento  dei supporti delle registrazioni. La prescrizione lesiva, tuttavia, è  individuata nell’art. 268 del codice di rito, perché proprio tale norma  (omettendo la previsione di un meccanismo di ostensione per il caso di  incidente cautelare) consentirebbe di precludere l’accesso alle  registrazioni, anche a fronte di una richiesta difensiva in tal senso,  fino al deposito degli atti regolato dai commi 4 e seguenti.

In punto  di rilevanza, il giudice a quo osserva che l’istanza de libertate sulla  quale è chiamato a provvedere concerne persona ristretta nella libertà  in base al tenore di comunicazioni che, secondo la difesa dell’ interessato, sarebbero state travisate per effetto di una trascrizione  sommaria, erronea ed incompleta.

2. – L’indagato nel procedimento  principale si è costituito in giudizio con atto depositato il 20  dicembre 2006.

Dopo una sintesi delle scansioni procedimentali già  illustrate dal rimettente, la memoria di costituzione elenca una serie  di comunicazioni che la polizia giudiziaria avrebbe trascritto, e  talvolta solo riassunto, in modo sommario ed incompleto.

Secondo la  parte privata le richieste cautelari dovrebbero essere corredate, alla  luce della giurisprudenza sul valore primario delle registrazioni come  fonti della prova, dai relativi supporti magnetici o digitali, almeno  nei casi in cui non possa essere tempestivamente osservato il disposto  del comma 4 dell’art. 268 cod. proc. pen., che prescrive il deposito  dei materiali concernenti l’intercettazione, salva appunto la  possibilità di una deroga, entro cinque giorni dalla fine delle  operazioni di ascolto. In ogni caso, non dovrebbe essere consentito al  pubblico ministero di negare l’accesso alle registrazioni dopo l’ esecuzione del provvedimento cautelare. Una tale preclusione  frustrerebbe il principio di parità tra le parti ed il diritto al  contraddittorio dell’accusato, il cui pieno esercizio richiede una  cognizione delle fonti di prova analoga a quella dell’accusatore.

A  «bilanciare» il sacrificio delle garanzie difensive non varrebbero  esigenze di tutela del segreto investigativo o della riservatezza delle  persone coinvolte nell’attività di intercettazione. La parte privata  evidenzia infatti – in sintonia con i rilievi del giudice rimettente –  che la doglianza prospettata concerne le sole comunicazioni poste a  fondamento del provvedimento cautelare, dunque già «svelate» dall’ inquirente e già ritenute rilevanti per il procedimento. Il  riconoscimento del diritto alla copia, d’altro canto, non equivarrebbe  ad una licenza di divulgazione delle registrazioni, la cui circolazione  «esterna» resterebbe disciplinata dalle regole generali in materia di  atti dell’indagine preliminare.

La norma censurata tradirebbe la ratio  della già citata sentenza n. 192 del 1997, con la quale la Corte  costituzionale ha stabilito che la privazione di libertà determina la  necessità di un esercizio pieno del diritto di difesa, assicurato dalla  «più ampia e agevole conoscenza degli elementi su cui è fondata la  richiesta del pubblico ministero». D’altro canto, l’autonomia dell’ incidente cautelare implica una specifica garanzia del contraddittorio,  che non potrebbe essere limitata in ragione di procedure (quelle  scandite dall’art. 268 cod. proc. pen.) che riguardano la formazione  della prova per il procedimento di merito, nella sua specifica  proiezione dibattimentale.
Considerato in diritto

1. – Il Giudice per  le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro dubita – con  riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo e terzo  comma, della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art.  268 del codice di procedura penale, nella parte in cui consente di non  depositare, o comunque di non mettere a disposizione dell’indagato e  del suo difensore, quando ne facciano richiesta, le registrazioni di  comunicazioni telefoniche poste a fondamento di una misura cautelare  personale già eseguita, anche prima della procedura di deposito  regolata dai commi 4 e seguenti dello stesso art. 268 cod. proc. pen.

2. – La questione è fondata nei limiti sotto specificati.

2.1. – L’ art. 268, comma 4, cod. proc. pen. prescrive il deposito in segreteria  delle registrazioni delle comunicazioni intercettate, unitamente ai  decreti autorizzativi ed ai processi verbali delle relative operazioni  di ascolto, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni  medesime. Se però dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le  indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non  oltre la chiusura delle indagini preliminari (comma 5). Dopo il  deposito, che consente ai difensori di esaminare gli atti e ascoltare  le conversazioni, si avvia la fase della cosiddetta udienza di  stralcio, nel corso della quale il giudice acquisisce le comunicazioni  indicate dalle parti, espunge, anche d’ufficio, le comunicazioni di cui  sia vietata l’utilizzazione, dispone la trascrizione integrale delle  sole comunicazioni acquisite, con le forme e le garanzie della perizia  (comma 6).

Il comma 2 dello stesso art. 268 cod. proc. pen. consente  la formazione dei cosiddetti «brogliacci», costituiti dai verbali nei  quali è trascritto, a cura della polizia giudiziaria, anche  sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate. La  trascrizione integrale, nella forma della perizia, è poi disposta dal  giudice per essere, infine, inserita nel fascicolo per il dibattimento  (comma 7).

Si deve rilevare che, in caso di autorizzazione al ritardo  del deposito degli atti concernenti le intercettazioni, la trascrizione  non può avere luogo prima che decorra il termine dilatorio accordato  dal giudice e che vengano compiuti gli adempimenti prescritti dai commi  6 e seguenti dello stesso art. 268. Solo a questo punto i difensori  possono estrarre copia delle trascrizioni e far eseguire la  trasposizione della registrazione su nastro magnetico (comma 8).

2.2.  – In caso di incidente cautelare, se il pubblico ministero presenta al  giudice per le indagini preliminari richiesta di misura restrittiva  della libertà personale, può depositare, a supporto della richiesta  stessa, solo i «brogliacci» e non le registrazioni delle comunicazioni  intercettate. In questo senso è orientata la costante e uniforme  giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, tra le più recenti,  Cassazione penale, sentenza n. 36439 del 2004, sentenza n. 39469 del  2004). Tuttavia, la stessa giurisprudenza di legittimità è ugualmente  costante ed uniforme nello stabilire che la trascrizione (anche quella  peritale) non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va  considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica  del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica (ex  plurimis, tra le più recenti, Cassazione penale, sentenza n. 4892 del  2003, sentenza n. 10890 del 2005).

3. – Il rimettente, dopo aver  osservato che le norme vigenti non impongono al pubblico ministero il  deposito delle registrazioni né l’obbligo di metterle a disposizione  dei difensori, a loro richiesta, dubita della legittimità  costituzionale del citato art. 268 cod. proc. pen. perché lo stesso,  non prevedendo il diritto della difesa ad avere diretta cognizione di  registrazioni di comunicazioni poste a base della richiesta e del  successivo provvedimento restrittivo della libertà personale dell’ indagato, menoma il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.),  altera, a sfavore dell’indagato, la parità delle parti nel processo  (art. 111, secondo comma, Cost.) e non consente alla persona accusata  di disporre delle condizioni necessarie a preparare la sua difesa (art.  111, terzo comma, Cost.). La disposizione censurata sarebbe inoltre  lesiva del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge  contenuto nell’art. 3 della Costituzione.

Ritiene questa Corte che l’ ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non  possa essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza  contraddittorio, dalla polizia giudiziaria, le quali possono essere,  per esplicito dettato legislativo (art. 268, comma 2, cod. proc. pen.),  anche sommarie. È appena il caso di osservare che l’accesso diretto  alle registrazioni può essere ritenuto necessario, dalla difesa dell’ indagato, per valutare l’effettivo significato probatorio delle stesse.  La qualità delle registrazioni può non essere perfetta ed imporre una  vera e propria attività di «interpretazione» delle parole e delle frasi  registrate, specie se nelle conversazioni vengano usati dialetti o  lingue straniere. In ogni caso, risultano spesso rilevanti le  intonazioni della voce, le pause, che, a parità di trascrizione dei  fonemi, possono mutare in tutto o in parte il senso di una  conversazione. Non v’è dubbio che la trascrizione peritale dei colloqui  costituisce una modalità di valutazione della prova più affidabile di  quanto non sia l’appunto dell’operatore di polizia ed, a maggior  ragione, la sintesi che può essere contenuta nei «brogliacci». Il  perito è un esperto, dotato di apparecchiature specifiche, ed opera nel  contraddittorio tra le parti, eventualmente per il tramite di  consulenti. Lo stesso fornisce una trascrizione letterale, ma anche  indicazioni ulteriori, quando necessarie (intonazione della voce,  lunghezza di una pausa etc.), che possono incidere sul senso di una  comunicazione. La trascrizione peritale può contenere anch’essa  componenti interpretative, ma è garantita dalla estraneità del suo  autore alle indagini e dal contraddittorio.  

È evidente che, in  assenza della trascrizione effettuata dal perito, l’interesse difensivo  si appunta sull’accesso diretto, tutte le volte in cui la difesa  ritiene di dover verificare la genuinità delle trascrizioni operate  dalla polizia giudiziaria ed utilizzate dal pubblico ministero per  formulare al giudice le sue richieste. Si tratta proprio della  fattispecie normativa oggetto del presente giudizio. La possibilità per  il pubblico ministero di depositare solo i «brogliacci» a supporto di  una richiesta di custodia cautelare dell’indagato, se giustificata dall’ esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalità  che il codice di rito assegna a tale misura, non può limitare il  diritto della difesa ad accedere alla prova diretta, allo scopo di  verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il  pubblico ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un  provvedimento restrittivo della libertà personale.

Occorre aggiungere  che, in caso di richiesta ed applicazione di misura cautelare personale  – come nel caso oggetto del giudizio a quo – le esigenze di segretezza  per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di  riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle  comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui  contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del  pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni  effettuate dalla polizia giudiziaria.

La lesione del diritto di  difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost. si presenta quindi  nella sua interezza, giacché la limitazione all’accesso alle  registrazioni non è bilanciata da alcun altro interesse processuale  riconosciuto dalla legge. Parimenti leso deve ritenersi il principio di  parità delle parti nel processo sancito dall’art. 111, secondo comma,  della Costituzione.

4. – La piena tutela del diritto di difesa e del  principio di parità delle parti nel processo richiede una pronuncia di  accoglimento di questa Corte, limitatamente alla mancata previsione,  nell’art. 268 cod. proc. pen., del diritto dei difensori di accedere  direttamente alle registrazioni, ottenendone la trasposizione su nastro  magnetico.

La soluzione più ampia prospettata dal rimettente, riferita  ad una procedura di deposito successiva all’esecuzione del  provvedimento coercitivo, non è necessaria, nel particolare contesto  qui in esame, per la garanzia dell’interesse difensivo tutelato dall’ art. 24, secondo comma, Cost., e dunque non può essere accolta. Una  previsione di deposito specificamente riferita all’incidente cautelare,  ed alle sole comunicazioni poste ad oggetto della relativa richiesta,  si risolverebbe in una regola processuale nuova e per molti versi  anomala, a cominciare dal fatto che l’adempimento riguarderebbe atti  non presentati al giudice, e sarebbe curato da un soggetto diverso dal  giudice medesimo, il quale provvede direttamente, secondo il disposto  del comma 3 dell’art. 293 cod. proc. pen., al deposito degli atti sui  quali ha fondato la propria decisione.

L’interesse costituzionalmente  protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla  base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente  tutti i rimedi previsti dalle norme processuali. Nel caso che tali  registrazioni non siano comprese tra gli atti trasmessi con la  richiesta cautelare, la legittima pretesa difensiva di accedere alla  prova diretta della comunicazione intercettata non è soddisfatta dal  diritto di consultare gli atti depositati in cancelleria, secondo il  disposto del terzo comma dell’art. 293 cod. proc. pen., dopo l’ esecuzione del provvedimento restrittivo. Dunque l’interesse in  questione può essere assicurato con la previsione – pure prospettata  dal rimettente in via subordinata – del diritto dei difensori di  accedere alle registrazioni in possesso del pubblico ministero.

Tale  diritto deve concretarsi nella possibilità di ottenere una copia della  traccia fonica, secondo il principio già espresso da questa Corte con  la sentenza n. 192 del 1997, a proposito degli atti depositati nella  cancelleria del giudice dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ ordinanza cautelare.

L’assenza di una previsione legislativa in tal  senso è causa di illegittimità costituzionale della norma censurata. Né  sarebbe sufficiente, per assicurare pienamente l’osservanza dell’art.  24, secondo comma, Cost., il ricorso all’art. 116 cod. proc. pen., che  disciplina il rilascio di copie degli atti processuali. La suddetta  norma infatti, vista congiuntamente all’art. 43 delle disposizioni di  attuazione del codice di procedura penale, non attribuisce – secondo la  giurisprudenza di legittimità – un diritto incondizionato alla parte  interessata ad ottenere copia degli atti, ma solo una mera possibilità,  giacché la richiesta, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, deve  essere valutata dal giudice. Tale previsione non avrebbe senso se la  parte avesse un diritto pieno al rilascio della copia. Conferma di tale  interpretazione viene tratta dal citato art. 43 disp. att. cod. proc.  pen., il quale, nel prevedere che l’autorizzazione del giudice non è  richiesta nei casi in cui è riconosciuto espressamente al richiedente  il diritto al rilascio della copia, esclude implicitamente che esista  un diritto generalizzato e incondizionato ad ottenere copia degli atti  processuali (in questo senso le Sezioni unite della Corte di  cassazione, sentenza n. 4 del 1995).

Di fronte a tale orientamento  giurisprudenziale è necessario affermare in modo univoco che nella  fattispecie normativa oggetto del presente giudizio, riferentesi alla  tutela del diritto di difesa in relazione ad una misura restrittiva  della libertà personale già eseguita, i difensori devono avere il  diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle registrazioni  poste a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate a  corredo di quest’ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche  sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria.
 
Il diritto all’accesso  implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione  su nastro magnetico delle registrazioni medesime.
per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell’ art. 268 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede  che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone  una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la  trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni  o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del  provvedimento cautelare, anche se non depositate.

Così deciso in Roma,  nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8  ottobre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2008.