giovedì 16 ottobre 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli
Estratto dell’articolo realizzato nell’agosto 2008 dal dott. Francesco Morelli e pubblicato sul numero di settembre 2008 della rivista mensile “Strumentario Enti Locali”, edita da Diritto Italia Editore S.r.l.
i nuovi poteri attribuiti ai sindaci in materia di sicurezza urbana
introdotte dalla legge 24 luglio 2008, n. 125
di Francesco Morelli – Riproduzione riservata
1. Le modifiche in tema di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale
A seguito di un travagliato iter legislativo, connotato da aspre polemiche da parte dell’opposizione e di parte dell’opinione pubblica, si è giunti alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.173 del 25 luglio 2008 della legge 24 luglio 2008, n.125 di conversione del decreto-legge 23 maggio 2008, n.92 (c.d. “pacchetto sicurezza”), recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica.
Le innovazioni introdotte con il provvedimento normativo in esame sono numerose ed incidono, in modo significativo, non solo su aspetti settoriali legati a situazioni specifiche, ma sul ruolo stesso delle amministrazioni locali, fornendo loro nuovi poteri in materia di sicurezza urbana ed una maggiore cooperazione tra le Polizie locali e le Forze dell’ordine.
Il potenziamento degli strumenti giuridici a disposizione del sindaco per il contrasto della criminalità locale è frutto di un bilanciamento tra le prerogative statali in tema di sicurezza pubblica e l’esigenza di valorizzare il ruolo degli enti locali, realizzando un più efficace decentramento delle funzioni pubbliche ed un potenziamento dell’armamentario giuridico a disposizione del sindaco per il contrasto della criminalità locale.
Una autentica rivoluzione copernicana, dunque, che attribuisce al primo cittadino il ruolo di fulcro di una nuova sinergia tra le istituzioni nella lotta alla criminalità, in considerazione della sua maggior vicinanza al territorio da amministrare e dunque, presumibilmente e verosimilmente, una maggior conoscenza di quelle problematiche locali che possano ridondare in rischi per la sicurezza dei cittadini.
Nell’ottica governativa, il decentramento di funzioni pubbliche, realizzato anche attraverso un potenziamento delle funzioni dei sindaci, si pone quale diretta attuazione di quella partecipazione pubblica, da sempre espressione irrinunciabile del radicalismo democratico.
Un provvedimento definito dal Ministro Maroni “una svolta nella sicurezza, perché attribuisce ai sindaci poteri di controllo del territorio che finora non hanno mai avuto, perché introduce norme per combattere la criminalità organizzata molto più efficaci e perché pone le condizioni perché l’immigrazione clandestina possa essere contrastata efficacemente”.
Questo non significa che vedremo il sindaco andare armato per la città con tanto di stelletta e stivali a punta, ma che il primo cittadino avrà autorità decisionale su temi che riguardano l’incolumità pubblica e di sicurezza urbana: spaccio, prostituzione, accattonaggio, fenomeni di violenza, sfruttamento di minori e disabili, danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, incuria, degrado, occupazioni abusive, pubblica viabilità, decoro urbano.
Il titolare del Viminale ha poi annunciato che a settembre 2008 sarà firmato il protocollo d'intesa con l’Anci (l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) per utilizzare il fondo del 2009 che prevede 100 milioni di euro per finanziare gli interventi per la sicurezza urbana.
Per realizzare gli obiettivi sottesi alla riforma, l’art. 6 della l. 125/2008 ha sostituito l’originaria versione dell’art. 54 del Testo Unico Enti Locali (d.lgs. 267/2000), apportando al testo previgente numerose e sostanziali modifiche destinate ad incidere in modo significativo sul rapporto tra cittadini ed amministrazioni locali.
In primo luogo, viene conferito maggior rilievo alle funzioni relative all’ordine e alla sicurezza pubblica di spettanza del sindaco, attribuendo a quest’ultimo la possibilità di adottare provvedimenti, anche contingibili e urgenti, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano non solo l’incolumità pubblica, come già previsto dal testo previgente, ma anche la “sicurezza urbana”, introducendo in tal modo un ulteriore requisito legittimante un ampio e discrezionale intervento da parte dell’ufficiale del Governo locale.
Il quarto comma del testo novellato prevede che siffatti provvedimenti d’urgenza debbano essere comunicati non più “tempestivamente” ma “preventivamente” al prefetto, anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione, in tal modo rafforzando ulteriormente quella sinergia fra istituzioni che rappresenta uno dei principali obbiettivi perseguiti dalla riforma.
In proposito, non può tuttavia sottacersi come proprio l’eccessiva discrezionalità riconosciuta ai sindaci nell’adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti rappresenti una delle principali critiche mosse dai detrattori della riforma.
Tuttavia, la paventata eccessiva discrezionalità attribuita ai sindaci risulta, almeno in parte, mitigata dal D.M. del 5 agosto 2008, rubricato come “Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizioni e ambiti di applicazione” e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.186 del 9 agosto 2008, con il quale si è ulteriormente specificato l’ambito oggettivo dell’intervento sindacale, chiarendo come per “incolumità pubblica” si debba intendere “l’integrità fisica della popolazione” e per “sicurezza urbana” un “bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”.
All’art. 2 dello stesso decreto ministeriale, vengono inoltre elencati analiticamente i campi di intervento del sindaco: egli interviene per prevenire e contrastare le situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all'abuso di alcool; le situazioni in cui si verificano comportamenti quali il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato o che ne impediscono la fruibilità e determinano lo scadimento della qualità urbana.
Il sindaco interviene altresì in situazioni di incuria, degrado e di occupazione abusiva di immobili tali da favorire le situazioni indicate ai punti precedenti, nonché in tutte quelle situazioni che costituiscano intralcio alla pubblica viabilità o che alterino il decoro urbano, in particolare quelle di abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico.
Infine il potere di intervento dei sindaci si estende a tutti quei comportamenti che, come la prostituzione su strada o l'accattonaggio molesto, possano offendere la pubblica decenza anche per le modalità con cui si manifestino, ovvero siano in grado di turbare gravemente il libero utilizzo degli spazi pubblici o la fruizione cui sono destinati o che rendano difficoltoso o pericoloso l'accesso ad essi.
Si consideri, dunque, come il “potere di ordinanza” dei sindaci risulti particolarmente incisivo, consentendo loro, secondo le ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali, di disporre anche in deroga a norme di legge, con il solo limite rappresentato dal rispetto dei precetti costituzionali e dei principi generali dell’ordinamento.
A fronte dell’obiettivo, pervicacemente e talvolta demagogicamente perseguito dalle varie legislature, di una certezza del diritto ottenuta anche attraverso una delegificazione ed una semplificazione normativa, la riforma de quo si pone in netta antitesi, aggravando il rischio di un incontrollato proliferare di ordinanze, normative, divieti e provvedimenti locali a contenuto variegato ed eterogeneo.
Il rischio è che si perseguano iniziative-spettacolo, prodotte dall’arbitrio di sindaci che, sedotti dal nuovo potere, potrebbero cadere facili vittime, persino inconsapevoli, di interventi volti ad assecondare gli umori e la volontà del proprio elettorato, pur in assenza di qualsivoglia concreto pericolo per la sicurezza urbana o per l’incolumità dei cittadini, con evidenti ripercussioni negative in merito alla certezza del diritto ed uguaglianza di trattamento per tutti coloro che risiedano o svolgano la propria attività lavorativa nell’ambito territoriale interessato dall’intervento.
I governi comunali rischiano così di trasformarsi in piccole satrapie elettive, connotate dal frequente ricorso ad una decretazione di emergenza, per far fronte a situazioni urgenti o pseudo tali.
La nota ordinanza del comune fiorentino, che ha vietato l’esercizio del mestiere di lavavetri sull’intero territorio comunale, o la recente ordinanza del Comune di Novara, che vieta lo stazionamento nei parchi pubblici a più di tre persone nelle ore notturne, o ancora, l’ordinanza sindacale vicentina n. 32369/2002, in base alla quale un giovane è stato multato perché “sdraiato sul manto erboso intento a leggere un libro”, ne sono un triste esempio.
E dopo lavavetri, mendicanti, prostitute, panni stesi e mozziconi, adesso anche i chewing gum sono finiti nel mirino della creatività dei primi cittadini invocata dal ministro Maroni: proprio in questi giorni, il sindaco di Monte Argentario sta valutando l’opportunità di adottare un’ordinanza che vieti la vendita delle gomme da masticare su tutto il territorio comunale.
Da grotteschi fatti di cronaca, che spesso appaiono dettati più dal desiderio di suscitare clamore che dalla volontà di tutelare l’ordine o la sicurezza pubblica, tali episodi rischiano di tramutarsi in una prassi diffusa e consolidata, snaturando e travalicando in modo aberrante le reali finalità perseguite dalla riforma de quo.
Proseguendo nella disamina della nuova disciplina normativa, il quinto comma del testo novellato prevede che, qualora i provvedimenti adottati dai sindaci ai sensi dei commi 1 e 4 comportino conseguenze sull’ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni contigui o limitrofi, il prefetto indice un’apposita conferenza, con la partecipazione necessaria dei sindaci interessati e del presidente di provincia, nonché di altri soggetti pubblici e privati dell’ambito territoriale interessato dall’intervento, quando la loro partecipazione venga ritenuta opportuna.
Incertezze possono sorgere in merito alla natura della predetta conferenza ed al suo valore rispetto ai provvedimenti sindacali in tema di sicurezza, atteso che, secondo quanto espressamente chiarito dalla relazione illustrativa, essa non corrisponde al modello tipizzato dagli artt. 14 e ss. della legge 241/1990.
Il comma 5-bis dell’art. 54 T.U.E.L., introdotto a seguito di un emendamento approvato dalle Commissioni riunite, attribuisce ai sindaci anche una nuova funzione di collaborazione con le competenti autorità giudiziarie o di pubblica sicurezza, al fine di realizzare un più efficace contrasto dell’immigrazione irregolare.
Gli amministratori locali vengono così chiamati a segnalare la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell’Unione europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio dello Stato.
Provvedimenti sindacali potranno essere altresì adottati in casi di emergenza, connessi con il traffico o con l’inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando, a causa di circostanze straordinarie, si verifichino particolari necessità dell’utenza o per motivi di sicurezza urbana. In tali casi il sindaco potrà modificare gli orari degli esercizi commerciali e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio. In caso di inottemperanza all’ordine impartito, il sindaco potrà provvedere d’ufficio a spese degli interessati, fatte salve le ulteriori conseguenze penali a carico dei trasgressori.
Per accertare il regolare svolgimento dei compiti affidati, al prefetto viene riconosciuto un autonomo potere di intervento, con possibilità di disporre ispezioni e verifiche, anche al fine di acquisire dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale.
Il comma 14 dell’art. 54 T.U.E.L. introduce una deroga al principio generale secondo cui “delegatus delegare non potest”, consentendo espressamente al sindaco la possibilità di delegare talune delle funzioni affidategli, previa comunicazione al prefetto, al presidente del consiglio circoscrizionale, ovvero, quando non siano costituiti organi di decentramento comunale, ad un consigliere comunale per l’esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.
In caso di inerzia del sindaco o condotta omissiva del suo delegato, si prevede un vero e proprio potere di avocazione o surrogazione da parte del prefetto, che potrà intervenire con un proprio provvedimento, supplendo in tal modo all’inattività degli amministratori locali.
L’ultimo comma prevede, inoltre, la possibilità da parte del Ministro dell’interno di adottare atti di indirizzo per l’esercizio delle funzioni spettanti al sindaco, al fine di realizzare un più efficace coordinamento tra le amministrazioni centrali e locali.
L’art. 6-bis della legge 125/2008 attribuisce alla Giunta comunale e provinciale la possibilità di stabilire un diverso importo del pagamento in misura ridotta delle sanzioni irrogate a seguito della violazione di regolamenti ed ordinanze comunali e provinciali, derogando in tal modo all’importo predeterminato ex lege corrispondente alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole, al doppio del minimo della sanzione edittale. Conseguentemente, l’importo predeterminato continuerà a trovare applicazione per le sole violazioni amministrative non attinenti provvedimenti comunali o provinciali; per queste ultime, invece, occorrerà attendere la notifica del provvedimento per conoscere l’esatto importo dovuto, che sarà deciso discrezionalmente dalla competente autorità, pur rimanendo all’interno del limite minimo e massimo della sanzione prevista per i casi cui fa riferimento l’articolo 16 della legge 24 novembre 1981 n. 689.
2) Rapporti di collaborazione nell’ambito dei piani coordinati di controllo del territorio
Gli artt. 7 e 7-bis dispongono in ordine ai rapporti di collaborazione tra polizia municipale, polizia provinciale e polizia statale in tema di sicurezza pubblica e con riguardo alle procedure da seguire per assicurare un più efficace raccordo nell’attività investigativa.
Gli ambiziosi obiettivi perseguiti dalla riforma in esame non potevano infatti essere realisticamente perseguiti senza una interazione ed un raccordo operativo tra le varie forze dell’ordine, ottenuto attraverso il ricorso a piani coordinati di controllo del territorio, già previsti dall’art. 17 della legge 26 marzo 2001 n.128, rubricata come “Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini”.
Così, riprendendo una innovazione prefigurata anche dal c.d. “pacchetto Amato”, presentato nella scorsa legislatura alla Camera (ddl. n. 3278, art. 12), viene oggi demandata ai piani coordinati di controllo del territorio la determinazione dei rapporti di reciproca collaborazione tra Polizia municipale, Polizia dello Stato e Polizia provinciale.
La disposizione in esame è da porre in relazione sistematica con l’art. 17 della legge 128/2001, a norma del quale il Ministro dell'interno impartisce e aggiorna annualmente le direttive per la realizzazione, a livello provinciale e nei maggiori centri urbani, di piani coordinati di controllo del territorio da attuare a cura dei competenti uffici della Polizia di Stato e comandi dell'Arma dei carabinieri e, per i servizi pertinenti alle attività d'istituto, del Corpo della Guardia di finanza, con la partecipazione di contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale, previa richiesta al sindaco, o nell’ambito di specifiche intese con la predetta autorità, prevedendo anche l’istituzione di presidi mobili di quartiere nei maggiori centri urbani, nonché il potenziamento e il coordinamento, anche mediante idonee tecnologie, dei servizi di soccorso pubblico e pronto intervento per la sicurezza dei cittadini.
La determinazione delle procedure da osservare per assicurare il predetto raccordo operativo tra le forze dell’ordine è demandata a decreti del Ministro dell’interno, dei quali non è specificata la natura, di concerto con gli altri ministri interessati, quali il Ministro della giustizia, il Ministro dell’economia e delle finanze, ed il Ministro della difesa.
Ove, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, risulti opportuno un più incisivo controllo del territorio, può essere adottato con decreto del Ministro dell’interno un piano di impiego del personale delle Forze armate, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica, integrato dal Capo di Stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del consiglio dei Ministri.
Tale personale militare, dovrà essere preferibilmente selezionato tra appartenenti all’Arma dei Carabinieri impiegati in compiti militari o comunque volontari delle stesse Forze armate specificatamente addestrati per i compiti da svolgere, e sarà posto a disposizione dei prefetti delle provincie comprendenti aree metropolitane e comunque densamente popolate per la vigilanza di siti ed obiettivi sensibili nonché per la perlustrazione in pattuglia e concorso e congiuntamente alle Forze di polizia. Il piano potrà essere autorizzato per un periodo di sei mesi prorogabili per un’unica volta, ed il contingente non potrà superare le 3000 unità.
Il personale delle Forze armate non appartenente all’Arma dei carabinieri agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza e può procedere alla identificazione ed alla immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto, anche al fine di impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati.
La copertura finanziaria necessaria per l’attuazione di questo ambizioso progetto, stabilita entro il limite di spesa di 31,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, è ottenuta mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito del programma “Fondi di riserva speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando accantonamenti relativi al Ministero dell’economia e delle finanze, al Ministero della giustizia ed al Ministero degli affari esteri.
3) Accesso al Centro elaborazione dati del Ministero dell’interno
Al fine di realizzare un più efficace controllo del territorio, gli artt. 8 e 8-bis ampliano la sfera dei soggetti legittimati ad accedere ai dati presenti nel CED (Centro Elaborazione Dati) interforze del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza.
Prima dell’entrata in vigore del provvedimento in esame, gli agenti di polizia municipale addetti ai servizi di polizia stradale ed in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, potevano accedere ai soli dati presenti nel CED relativi ai veicoli rubati.
A seguito delle modifiche apportate dalla riforma de quo, viene oggi riconosciuta agli agenti e agli ufficiali indicati la possibilità di accedere agli schedari dei veicoli rubati e allo schedario dei documenti di identità rubati o smarriti operanti presso il centro elaborazione dati di cui all’art. 8 della legge 1 aprile 1981, n. 121 (rubricata “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”), come modificata dalla legge 668/1986 e dalla legge 685/1996, ora D.lgs. 196/2003 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”).
Inoltre, la norma in esame permette al personale della polizia municipale, previa apposita abilitazione, un ruolo anche attivo, di immissione nell’indicato CED dei dati acquisiti autonomamente relativi ai veicoli rubati e ai documenti rubati o smarriti.
Analoga facoltà è riconosciuta dall’art. 8-bis anche agli ufficiali e agli agenti appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto al fine di un migliore soddisfacimento delle esigenze di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi; costoro potranno sia avere accesso ai dati contenuti negli schedari indicati, seppur limitatamente a quelli correlati alle funzioni loro attribuite, che inserire i nuovi dati autonomamente acquisiti.
Inoltre, al personale della polizia municipale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, è altresì riconosciuta la possibilità di accedere alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati, in relazione a quanto previsto nell'articolo 54, comma 5-bis, del testo unico del 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, nonché di inserire presso il medesimo Centro altre informazioni autonomamente acquisite.
In ogni caso, l’accesso ai dati contenuti nel Centro Elaborazione Dati è consentito per le sole finalità istituzionali e nei limiti della disciplina prevista dal codice di procedura penale. E’ comunque vietata ogni utilizzazione delle informazioni per qualunque finalità non riconducibile alla tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica, e di prevenzione e repressione della criminalità, così come è vietata la circolazione delle informazioni all’interno della pubblica amministrazione fuori dei casi normativamente indicati.
Dott. Francesco Morelli – Foro di Trani