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Cassazione Penale, Sez. III, sent. 24/06/2008 (dep. 8/7/2008), n.27764
giovedì 24 luglio 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

E' reato duplicare cd e software relativi a videogiochi, anche se privi di bollino SIAE.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 24 giugno - 8 luglio 2008, n. 27764
(Presidente Vitalone - Relatore Marini)
Rileva

Nel corso di una perquisizione domiciliare presso l'abitazione del Sig. D. furono rinvenuti e sequestrati numerosi dischi contenenti giochi elettronici destinati all'apparato denominato "Play Station" ed altri contenenti riproduzioni di brani musicali; tutti i dischi, muniti di copertina recante copia a colori di quella originale, risultavano sprovvisti del bollino SIAE. Considerata l'evidente non originalità dei beni sequestrati e considerato l'elevata quantità dei medesimi, il Pubblico ministero ha tratto a giudizio il Sig. D. ipotizzando al capo a) la violazione dell’art. 171-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633; al capo b) la violazione del successivo art. 171-ter, comma primo letto); al capo e) la violazione dell'art. 648 c.p.

In esito al dibattimento il Tribunale di Napoli ha ritenuto sussistere tutti i reati contestati ed ha condannato il Sig. D., applicata la continuazione tra i reati stessi, alla pena di sei mesi di reclusione e 400,00 euro di multa, con confisca di quanto in sequestro.

Avverso tale decisione il Sig. D. ha presentato appello contestando, oltre l'eccessività della pena, la sussistenza dei presupposti delle fattispecie per cui vi è stata condanna; in particolare, i motivi di appello presentati dall'Avv. Viglione contestavano la sussistenza di prove circa la duplicazione e la illecita detenzione dei supporti, posto che i medesimi hanno diversi contenuti e furono acquisiti in buona fede per essere visionati.

La Corte di Appello ha accolto l'impugnazione limitatamente al reato previsto dall'art. 648 c.p., ritenendo che la condotta tipica del reato di ricettazione risulti assorbita nella fattispecie legale dei reati previsti dalla legge n. 633 del 1941. Ha, tuttavia, ritenuto che la gravità della condotta e la presenza di precedenti penali dell'imputato avrebbero meritato una pena maggiore di quella inflitta dai primi giudici, così che, preso atto dell'assenza di impugnazione del Pubblico ministero ed in osservanza del divieto di "reformatio in peius", ha confermato la pena applicata dal Tribunale di Napoli.

Con l'odierno ricorso nei confronti della sentenza della Corte di Appello, si lamenta violazione dell'art. 606, lett. b) ed e) c.p.p.. Sostiene il ricorrente che risulta provato in atti che non sussiste "omogeneità" tra il materiale sequestrato, e che tale circostanza escluderebbe non soltanto una cooperazione nella falsificazione del materiale ma anche l'esistenza di prove relative alla circostanza che esso fosse destinato alla vendita. La motivazione della sentenza impugnata risulterebbe così assolutamente carente e la decisione sarebbe meritevole di annullamento.

Osserva

1. In fatto, risulta accertato dalle sentenze di merito, e non contestato dal ricorrente, che in sede di perquisizione domiciliare furono rinvenuti nella disponibilità del Sig. D. numerosi supporti privi del contrassegno SIAE e ritenuti provenienti da abusiva duplicazione; in particolare furono rinvenuti n. 121 supporti contenenti giochi elettronici destinati all'apparato Sony "Play Station"; n. 207 supporti contenenti programmi per elaboratori elettronici; n. 333 supporti contenenti brani musicali, per un totale di 661 supporti.

2. Il Tribunale di Napoli, con motivazione condivisa sul punto dalla Corte di Appello, ha ritenuto che sussista in atti la prova dell'illecita duplicazione dei supporti stessi: questi risultavano privi del contrassegno SIAE; le custodie contenevano le locandine dei titoli ottenute mediante fotocopia a colori dall'originale; l'imputato non ha esibito alcuna documentazione che comprovi la provenienza lecita del materiale sequestrato.

L'insieme di questi elementi ed il numero dei supporti sono stati ritenuti ampiamente sufficienti a dimostrare l'illecita provenienza degli stessi e la loro destinazione a scopo commerciale o imprenditoriale e comunque la destinazione ad uso non personale.

3. A fronte di tali conclusioni e delle motivazioni delle decisioni dei giudici di merito il motivo di ricorso presentato appare infondato e deve essere respinto.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ritiene di condividere il principio, affermato in modo convincente da precedenti sentenze di legittimità, che quando le sentenze di primo e secondo grado "concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente" (Prima Sezione Penale, sentenza n. 8886 del 26 giugno - 8 agosto 2000, Sangiorgi, rv 216906). Da tale principio discende, nel presente caso, che i motivi di ricorso devono essere esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le decisioni di merito.

Può così rilevarsi che la censura contenuta nel motivo di ricorso non fornisce elementi decisivi a sostegno della pretesa illegittimità della decisione impugnata. Ed infatti, al giudice di legittimità è precluso un nuovo esame del materiale probatorio e della valutazione che ne è stata fatta in sede di giudizio di merito allorché la sentenza impugnata risulti, come nel caso di specie, correttamente e logicamente motivata. Costituisce giurisprudenza costante che il giudizio sulla completezza e correttezza della motivazione della sentenza impugnata non può confondersi "con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal giudice di merito", con la conseguenza che una motivazione esauriente nell’affrontare i temi essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si sottrae al sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità anche dopo la novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995 - 23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767), principi che hanno trovato conferma in plurime recenti decisioni quali le sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio - 14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207), secondo le quali può aversi vizio di travisamento della prova quando l'errore sia in grado "di disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione", e che questo può avvenire solo nei casi in cui "si introduce in motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo", oppure "si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione".

4. Così esaminati i contenuti delle censure avanzate dal ricorrente, permane in ogni caso alla Corte l'obbligo di verificare quali siano nel caso concreto le conseguenze della sentenza 8 novembre 2007 della Corte di Giustizia CE. nella causa C-20/05, Schwibbert.

Tale decisione ha affermato che costituiscono "regole tecniche" (ai sensi delle direttive 83/189/CEE e 98/34/CEE, e successive modifiche) le disposizioni nazionali che prescrivono l'apposizione del contrassegno SIAE su supporti contenenti opere dell'ingegno; con la conseguenza che, non essendo stato rispettato dallo Stato italiano l'obbligo di notificazione di dette regole alla Commissione europea, le relative disposizioni interne non possono essere fatte valere nei confronti dei privati e debbono essere disapplicate dal giudice.

Con decisioni assunte da questa Sezione all'udienza del 12 febbraio 2008 (in particolare con le sentenze n.13853, Luciotto e 13816, Valentino; confermate dalla sentenza 6 marzo 2008, Boujlaib Youssef della Settima Sezione Penale) sono stati fissati alcuni principi interpretativi delle disposizioni incriminatrici previste dalla legge n. 633 del 1941 che possono così riassumersi:

a) devono essere dichiarati non sussistenti i fatti reato previsti con riferimento alla utilizzazione di supporti privi del contrassegno SIAE, come previsti da parte dell'art. 171-bis e dalla lettera d) del primo comma dell'art. 171-ter commessi fino all'8 novembre 2007, risultando accertato che fino alla data di emanazione della sentenza Schwibbert lo Stato italiano era rimasto inadempiente all'obbligo di notificazione delle regole tecniche; eventuali sentenze di condanna debbono, pertanto, essere annullate senza rinvio in linea con i principi affermati dalla sentenza della medesima Sezione n. 16969 del 28 marzo 2007, PG in proc. Palmioli, rv 236116, in tema di scommesse sportive previste dall'art.4 della legge 13 dicembre 1989, n.401;

b) nessun effetto viene prodotto dalla citata sentenza Schwibbert sui fatti di reato aventi ad oggetto l'utilizzazione di supporti abusivamente riprodotti, come previsti dalla lettera e) del primo comma dell'art. 171-ter, così che restano in sé punibili le condotte lesive dei diritti poste a tutela della personalità dell'autore o lesive dei diritti alla utilizzazione economica dell'opera di ingegno;

c) analoghi principi debbono applicarsi alle ipotesi previste dalla lett. a) del comma secondo dell’art. l71-ter, con la conseguenza che non sussiste fattispecie di reato se la contestazione concerne esclusivamente il riferimento a supporti privi del contrassegno SIAE, mentre permane la punibilità se i supporti risultano (anche) abusivamente riprodotti.

5. Le citate sentenze sono giunte a tali conclusioni attraverso alcuni passaggi motivazionali essenziali che possono così sintetizzarsi:

1) le Direttive CEE sopra ricordate prevedono che le "regole tecniche" poste a tutela del diritto d'autore possono essere opposte ai private solo dopo la notificazione alla Commissione europea;

2) in Italia tale tutela è stata attuata attraverso la previsione dell'apposizione del contrassegno SIAE (Società Italiana degli Autori e Editori) sui prodotti dell'ingegno, a riprova dell'avvenuto assolvimento dei diritti;

3) tale soluzione, inizialmente rilevante ai soli effetti civili, ha nel tempo assunto valore pubblicistico, fino a ricevere protezione mediante l'intervento penale;

4) inizialmente concentrata sui supporti cartacei, la previsione normativa ha conosciuto anch'essa un'evoluzione legata allo sviluppo delle tecnologie e della natura dei supporti, venendo progressivamente a prevedere l'obbligo di apposizione del contrassegno, e le relative sanzioni in caso di inadempimento, sui supporti riproducenti opere cinematografiche (legge n. 121 del 1987); sui supporti riproducenti programmi per elaboratori elettronici (d.lgs. n. 518 del 1992, come modificato dalla legge n. 248 del 2000); sui supporti riproducenti fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenza di immagini in movimento (legge n. 248 del 2000, che ha modificato la legge n.685 del 1994);

5) da tale excursus deve dedursi che le disposizioni che prevedono l'apposizione del contrassegno SIAE, e ne sanzionano l'inadempimento, sui supporti dai contenuti musicali e cinematografici e su quelli contenenti videogiochi risultano successive alle citate Direttive comunitarie e, quindi, a causa dell'omessa notificazione, non opponibili ai privati;

6) il principio affermato dalla sentenza Schwibbert, costituendo interpretazione vincolante dei principi del Trattato CE (cfr. art. 164), ha immediata applicazione nel diritto interno e il giudice nazionale, senza attendere che le disposizioni interne vengano modificate o abrogate, può e deve disapplicarle (Corte di Giustizia, sentenza 9 marzo 1978 nella causa C. 106/1997, Simmenthal; sentenza 11 gennaio 1996, nella causa C-273/1994, Commissione/Paesi Bassi).

6. Ebbene, dagli stessi capi di imputazione e dal contenuto delle decisioni dì merito si può ricavare che la contestazione mossa al Sig. D. non concerne la mera assenza del contrassegno SIAE sui supporti sequestrati, ma ha ad oggetto la detenzione di supporti frutto di abusiva duplicazione del loro contenuto e, conseguentemente, la violazione dei diritti posti a tutela della personalità dell'autore o dei diritti alla utilizzazione economica dell'opera di ingegno.

A tal proposito la Corte rileva che la condotta esplicitamente contestata nei capi a) e b) della rubrica e accertata in sede di giudizio non consiste nella utilizzazione di supporti privi del contrassegno previsto dalla legge, bensì nel "detenere per la vendita o per il noleggio" supporti abusivamente duplicati; tale condotta è contemplata non dall'art. 171-bis e dall'171-ter, lett. a), secondo la qualificazione giuridica erroneamente fissata dal Pubblico ministero e dai primi giudici, bensì dalla lett. c) del medesimo art. 171-ter. Da tale constatazione consegue che spetta a questa Corte, secondo quanto previsto dall'art.521 c.p.p., attribuire la corretta definizione giuridica al fatto quale risulta accertato in sede di merito, che resta immutato rispetto alla contestazione.

7. Al rigetto del ricorso consegue l'obbligo per il ricorrente di sostenere le spese del presente giudizio, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte qualificati i fatti in contestazione residua ai sensi dell'art. 171-ter, lett. c) legge n. 633 del 1941 e dell'art. 81 cpv, c.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.