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Cassazione Penale, Sez. III, sentenza 10/06/2008 (dep. 21/7/2008), n.30403
martedì 22 luglio 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

I jeans non sono paragonabili a una specie di “cintura di castità” e, dunque, non possono essere considerati un ostacolo a una violenza sessuale.

UDIENZA PUBBLICA DEL 10/06/2008
SENTENZA N. 01457 /2008
REGISTRO GENERALE N. 001498/2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. LUPO ERNESTO
1.Dott.CORDOVA AGOSTINO
2.Dott.ONORATO PIERLUIGI
3.Dott.GENTILE MARIO
4.Dott.MARMO MARGHERITA

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da
1) TIZIO
avverso SENTENZA del 26/10/2007 CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere CORDOVA AGOSTINO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del l'11.5.2005 il G.i.p. presso il Tribunale di Padova condannava Tizio con la concessione delle attenuanti generiche e ritenuta l'ipotesi lieve di cui all'u.c. dell'art. 609 bis C.p., alla pena -sospesa- di una anno di reclusione in ordine al reato di cui agli art. 81 cpv. 609 bis C.p. per avere più volte compiuto con violenza atti di libidine nei confronti di CAIA e, per ultimo, toccandola sul seno, sui fianchi, sul sedere e nelle parti-intime; entrando con le mani sotto i pantaloni della donna.
La condanna si basava sulle dichiarazioni della ritenute lineari, pacate, non contraddittorie e non dovute a rancore, e su quelle del fidanzato cui la prima aveva raccontato fatti, e del padre, informato da detto fidanzato.
Veniva proposto appello per l'imputato, sostenendo che:
a) il giorno dell'episodio più grave era stata la donna a telefonare al perché venisse a casa per pranzare;
b) dopo il suo arrivo si era seduta a guardare la televisione con i pantaloni sbottonati ed il TIZIO si sedeva accanto a lei senza nulla succedesse: poi ella andava in camera a chiudersi i pantaloni;
c) il padre e la madre erano separati, e la seconda aveva iniziato una relazione con il prima di tale separazione, donde l'ipotesi che la non avesse detto la verità avendo mantenuto buoni rapporti con il genitore;
d) ella stessa aveva dichiarato di non essere stata in grado di conoscere la volontarietà degli episodi verificatisi prima dell'1.7.2004;
e) la pena era superiore al minimo edittale nonostante la lieve entità dei fatti, ed ingiustificatamente era stata negata la sospensione di essa.
Chiedeva l'assoluzione per insussistenza del fatto.
La Corte di Venezia rigettava l'impugnazione, motivando come segue:
1) quanto agli intenti calunniosi erano mere ipotesi difensive prive di riscontri, non risultando a causa dell'imputato una limitazione del rapporto affettivo della ragazza con il padre;
2) gli elementi essenziali raccontate da essa, dal fidanzata e dal padre sostanzialmente coincidevano;
3) erano irrilevanti le discordanze sulla successione dei palpeggiamenti, sulle loro modalità, ecc., contenute nelle dichiarazioni del padre e del fidanzato, essendo dovute ad inesattezza di ricordi o all'assenza di specifiche domande sui vari punti;
4) il fatto che solo il fidanzato abbia parlato di una masturbazione prima dei toccamenti non significava che la ragazza ed il padre l'avessero escluso, non avendolo semplicemente riferito;
5) che ella non fosse scappata rientrava nella libertà di comportamento individuale, e non costituiva un fatto provocatorio, o comunque inducente alla perpetrazione dei reati;
6) che indossasse i pantaloni de tipo jeans non escludeva il toccamento delle parti intime, facilmente raggiungibili senza sfilarli, e comunque entrando con le mani dentro di essi;
7) la pena era adeguata per la convivenza con la vittima e la giovane età di questa (inferiore ai 16 anni, ma non erano state contestate le relative aggravanti);
8) Poteva essere concesso il beneficio della non menzione.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso il difensore, deducendo che:
a) la Corte aveva valutato con estrema superficialità le dichiarazioni della ragazza, sia in sé che in raffronto con gli altri elementi;
b) aveva ammesso le discrasie, ma le aveva giustificate con mere congetture;
c) il riscontro costituito dalle dichiarazioni del fidanzato e del padre non era tale quanto la fonte era l'autrice delle prime dichiarazioni;
d) era impossibile che, indossando la ragazza dei jeans ed essendo seduta, si infilasse la mano sotto i pantaloni e si toccasse la vagina;
e) quanto alla pena, non si poteva compensare la mancata contestazione delle aggravanti con l'aumento di essa, a parte che la Corte aveva confuso l'art. 609 ter con l'art. 609 septies C.p., solo il secondo dei quali contemplava il fatto commesso dal convivente, per cui procedeva d'ufficio, mentre il primo prevedeva l'aggravante, in caso di vittima infrasedicenne, solo per l'ascendente, il genitore anche adottivo ed il tutore, ma non anche per il convivente.
Chiedeva pertanto l'annullamento dell'impugnata sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Dalla motivazione della sentenza impugnata, sinteticamente riportata in punto di fatti risulta che la Corte territoriale ha esaurientemente trattato tutti gli aspetti facenti ora oggetto del ricorso, per cui non si ravvisa alcuno dei vizi di cui all'art. 606 c. I del C.p.p., ed, i particolare, quello di cui alla lett. e): infatti, pur essendo astrattamente possibile dare a tutte le considerazioni svolte diverse interpretazioni, quelle di cui trattasi non sono certamente viziate da irragionevolezza, avendo una loro coerenza logica. D'altra parte, i motivi di gravame non si basano su elementi non presi in esame dalla Corte territoriale, bensì su una rilettura difensiva dei medesimi: ma il giudizio di legittimità non può mai risolversi nella rivisitazione dell'iter ricostruttivo del fatto, dovendo limitarsi alla mera constatazione dell'eventuale travisamento della prova, che consiste nell'utilizzarne una inesistente o un risultato di essa inconfutabilmente diverso nella sua oggettività da quello effettivo. Quindi, restano estranei al sindacato di questa Corte i rilievi in merito al significato di detta prova ed alla sua capacità dimostrativa, non potendosi accedere ad una diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa loro interpretazione, essendo in questa sede precluso il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, e rimanendo suo unico oggetto i vizi di cui al citato art. 606 C.p.p.
Vero è che, basandosi la sentenza impugnata essenzialmente sulle dichiarazioni della CAIA l'attendibilità di questa andava rigorosamente valutata: ma è quel che ha fatto la Corte territoriale, dando compiuta valutazione degli elementi per cui l'ha ritenuta attendibile e motivando sulla irrilevanza delle eccepite diversità su punti non essenziali delle varie dichiarazioni. Ed il fatto che la ragazza indossasse pantaloni del tipo jeans non era ostativo al toccamento interno delle parti intime, essendo possibile farlo penetrando con la mano dentro l'indumento, non essendo questo paragonabile o una specie dì cintura di castità.
Quanto alla pena, la Corte territoriale l'aveva irrogata in relazione alla giovane età della infrasedicenne, ed alla convivenza familiare dell'imputato. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non trattavasi di "compensazione" con la mancata contestazione dell'aggravante di cui all'art. 609 ter C.p. Infatti, vero è che tale aggravante non era applicabile nella specie, riguardando solo gli ascendenti, i genitori anche adottivi ed i tutori, mentre l'art. 609 septies C.p. prevede solo la procedibilità d'ufficio in caso di convivenza: ma la Corte territoriale, pur con l'erroneo accenno alla anzidetta mancata contestazione, aveva in realtà tenuto conto dell'età e della convivenza quali elementi connotanti la gravità del fatto in relazione ai limiti di pena del reato contestato.
Ne consegue il rigetto del ricorso, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 Giugno 2008.