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Cassazione Civile, sez. II, sent. 28 maggio 2008, n.14093
mercoledì 18 giugno 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli

L'infedeltà coniugale, consumata tra le mura domestiche, consente di applicare la revocazione delle donazioni per ingratitudine. E' quanto stabilito dalla Suprema Corte nella sentenza che segue, nella quale i giudici di legittimità chiariscono come l'ingiuria grave, necessaria per poter disporre la revocazione delle donazioni, è costituita non tanto e non solo dal fatto che la moglie abbia intrecciato una relazione con un amante, seppur trentaseienne e madre di tre figli, quanto piuttosto il fatto che l'infedeltà coniugale si sia consumata tra le mura domestiche, adottando un atteggiamento complessivamente menzognero ed irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale la ricorrente si univa con l'amante nell'abitazione coniugale. Risulta, quindi, legittimo il diritto del marito di tornare nel pieno possesso dei beni che aveva donato alla moglie.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 28 maggio 2008, n. 14093
...omissis...
Fatto e diritto

Il 29 aprile 1975 A. I. evocava in giudizio la moglie S. P., chiedendo che fosse disposta la revocazione delle donazioni indirette eseguite in suo favore, avendo intestato a nome di lei la comproprietà di beni immobili acquistati con il proprio danaro. La convenuta resisteva e in via riconvenzionale chiedeva la divisione del patrimonio comune. Il tribunale di Messina il 19 ottobre 1990 respingeva la domanda, ma la Corte d’appello il 1 marzo 2005 riformava la prima sentenza e dichiarava la revocazione per ingratitudine delle donazioni indirette. P. ha proposto ricorso per cassazione, articolato su tre motivi.

La causa è stata avviata a decisione con il rito per i procedimenti in camera di consiglio. Rinnovata la notifica nei suoi confronti, I. si è costituito con controricorso.

Condividendo il parere del P.G., la Corte ritiene che il ricorso sia manifestamente infondato.

Con il primo motivo, la P. lamenta che il giudice d’appello non abbia correttamente valutato le dichiarazioni testimoniali addotte per far risultare che ella aveva contribuito agli acquisti immobiliari grazie ai donativi e ai contributi regolarmente ricevuti dai genitori. Il motivo è inammissibile. Per giurisprudenza costante del Supremo Collegio, quando nel ricorso per cassazione è denunziato vizio di motivazione per incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per mancata o insufficiente od erronea valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t.u., ecc.) e’ imprescindibile, al fine di consentire alla corte di effettuare il richiesto controllo, anche in ordine alla relativa decisività, che il ricorrente precisi - pure mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso — le risultanze che asserisce decisive e insufficientemente o erroneamente valutate, in quanto per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione il controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non e’ possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la S.C. accesso agli atti del giudizio di merito (Cass. 22984/06; 6679/06).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3, la violazione della norma (art. 342) che regola l’onere dell’appellante di specificare i motivi di impugnazione.

Sostiene che la controparte non avrebbe censurato nell’atto di appello il mancato accoglimento da parte del tribunale della domanda di revocazione per ingratitudine delle donazioni, avendo lamentato solo la mancata ammissione della prova testimoniale e le risultanze della consulenza tecnica. Il rilievo, che introduce un preteso vizio in procedendo, da esaminare anche se non è stato richiamato il n. 4 dell’art. 360 (cfr. Cass 26091/05) e per l’esame del quale è consentito l’accesso agli atti (cfr. Cass 16596/05), risulta privo di fondamento.

Come dedotto in controricorso, l’atto di appello a pag. 8, sotto il numero 4, chiedeva infatti alla Corte messinese di “revocare la donazione indiretta del denaro per ingratitudine con ogni conseguente statuizione in ordine alla proprietà degli immobili”. La pronuncia resa sul punto era quindi conseguente a una specifica formulazione della domanda, a sostegno della quale i motivi di gravame si soffermavano sull’apparato probatorio che doveva sostenerne l’accoglimento.

Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 802 e 809 del codice civile: secondo la ricorrente mancherebbe in atti “la prova rigorosa di fatti e circostanze che potessero integrare l’ingiuria grave” e in particolare prove dell’asserito carattere ingiurioso della relazione extraconiugale”.

Viene inoltre eccepito che il termine annuale per proporre la domanda di revocazione delle donazioni era già decorso al momento della proposizione del giudizio.

Questo secondo profilo del motivo è inammissibile perché introduce per la prima volta in sede di legittimità una questione di merito non dedotta nei precedenti gradi di giudizio. Nel silenzio della sentenza d’appello, parte ricorrente avrebbe dovuto, in ricorso, indicare in quale atto difensivo o verbale di causa aveva sollevato per la prima volta l’eccezione fondata sull’art. 802 c.c..

Quanto al primo profilo,la censura, peraltro esposta alla stregua di una critica alla motivazione e non alla interpretazione delle norme applicate, non coglie nel segno.

Il giudice d’appello ha infatti ritenuto, in coerenza con la lettura che la giurisprudenza di legittimità (richiamata con precisione) ha costantemente dato dell’istituto in esame, che l’ ingiuria grave richiesta dall’art. 801 quale presupposto della revocazione consiste in un comportamento con il quale si rechi all ‘onore ed al decoro del donante un’offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, sì da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficato l’ agente, che ripugna alla coscienza comune (Cass n. 13632 del 05 11 2001; ma anche n. 7033 del 5 04 2005; n. 8165 del 20 09 1997; n. 5310 del 29 05 1998).

Ha poi ritenuto, con motivazione incensurabile in questa sede, in quanto esente da vizi logici o giuridici, che costituiva ingiuria grave non tanto della ricorrente, la quale all’età di trentasei anni, già madre di tre figli, aveva intessuto una relazione con un ventritreenne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell’abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno, quanto l’atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all’insaputa del quale la ricorrente si univa con l’amante nell’ abitazione coniugale.

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità e manifesta infondatezza del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite, liquidate in euro 3.100 cui 100 per spese e tremila per onorari.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile il 14 febbraio 2008.
Il Consigliere est.
Dr. Pasquale D'Ascola
Il Presidente
Giovanni Settimj
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 28 maggio 2008.