martedì 20 maggio 2008 - Pubblicazione a cura di
Responsabilità avvocato – mancata riassunzione del giudizio – sussistenza – concorso di responsabilità del cliente – insussistenza
Se l’avvocato non riassume la causa danneggiando il proprio assistito, non può far valere il concorso di colpa di quest’ultimo.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 31 gennaio – 15 aprile 2008, n. 9868
(Presidente Petti – Relatore Travaglino)
In fatto
V. N., nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Trapani l'avvocato C. G., espose che, avendo conferito, nel maggio del 1991, al predetto professionista l'incarico di rappresentarlo in un giudizio da instaurarsi nei confronti del Banco di Sicilia (al fine di recuperare l'importo di un assegno circolare che, su sua richiesta, il Banco stesso aveva emesso all'ordine del Credito Fondiario s.p.a. - creditore ipotecario nei suoi confronti - pagato poi, senza il dovuto controllo, alla ditta Crepano Costruzioni presso la Cassa Rurale e Artigiana di Xitta sulla base di un'apparente girata dell'istituto di credito intestatario), quegli si era comportato senza la dovuta diligenza, poiché il processo contro il Banco di Sicilia - interrottosi nel 1996 - non era stato più riassunto.
Il G., nel costituirsi in giudizio, eccepì, da un canto, l'insussistenza di un obbligo di riassunzione del processo in parola nei confronti della Banca Popolare Sant'Angelo (istituto di credito che aveva incorporato, nelle more del giudizio in cui egli assisteva il N., la Cassa Rurale e Artigiana, in quella sede chiamata quale terzo responsabile dal Banco di Sicilia), dall'altro, l’inconfigurabilità di un danno risarcibile così come infondatamente preteso dall'attore, atteso che la causa presupposta poteva ancora essere validamente riassunta o riproposta, non essendo decorso il termine di prescrizione del diritto azionato (tali argomentazioni difensive saranno integralmente fatte proprie dalla Unipol, compagnia assicuratrice del G., all'atto della costituzione in giudizio per effetto della rituale chiamata in garanzia operata da quest'ultimo).
Il giudice di primo grado respinse la domanda, ritenendo nella specie insussistente un danno risarcibile in capo all'attore da ricondurre casualmente al comportamento del suo difensore, sul quale, peraltro, contrariamente a quanto opinato in sede di comparsa di risposta e di conclusioni, sarebbe purtuttavia gravato l'obbligo di riassumere il processo interrotto.
La sentenza venne impugnata da V. N. dinanzi alla Corte di appello di Palermo, la quale, accogliendone parzialmente il gravame (e contestualmente rigettando l'appello incidentale proposto dal G.), affermò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità:
1) che, in limine, l'inadempimento colpevole dell'obbligo di riassumere il giudizio interrotto da parte del G. era circostanza non revocabile in dubbio, come già correttamente opinato dal primo giudice;
2) che la quaestio iuris dell'estinzione dell'originario procedimento intentato dal G. nei confronti del Banco di Sicilia non poteva formare oggetto di accertamento in via incidentale nell'ambito dell'attuale giudizio risarcitorio instaurato dal N. (che si svolgeva tra parti diverse e non riproponeva le stesse domande di quello interrotto);
3) che, sulla base di criteri (necessariamente) probabilistici, doveva ritenersi del tutto verosimile che, se il G. si fosse comportato con la dovuta diligenza (se avesse, cioè, provveduto alla tempestiva riassunzione dell'originario giudizio) questo sarebbe stato deciso entro il 1998: per accertare la sussistenza o meno di un danno addebitatile al professionista, pertanto, occorreva procedere all'ipotetico confronto tra la situazione materialmente concretatasi (giudizio in quiescenza a seguito della mancata riassunzione e conseguente, mancata decisione su di esso) e quella che si sarebbe verificata ove il fatto ipotizzato come dannoso (la mancata riassunzione) non si fosse consumato;
4) che a tale indagine comparativa era estranea la valutazione delle eccezioni di estinzione del processo e di prescrizione del diritto sostanziale (potenzialmente) attivabili dalle controparti del N., la cui spendibilità era invero ipotizzabile solo con riferimento alla eventuale (ma tardiva) riassunzione del giudizio o alla eventuale sua riproposizione con nuovo atto di citazione;
5) che la responsabilità contrattuale del G., conseguente alla sua condotta omissiva, non poteva essere esclusa per non essersi il N. attivato per intraprendere una nuova azione giudiziaria o per riassumere tardivamente il processo interrotto, esorbitando tali comportamenti dal dovere di correttezza che incombe sul creditore ai sensi dell'art. 1227 c.c.: essi avrebbero, difatti, comportato un inesigibile accollo di costi ulteriori (retribuzione di altro avvocato) e rischi relativi (formulazione delle eccezioni di estinzione e prescrizione da parte dei convenuti, viceversa improponibili se l'avvocato G. avesse correttamente svolto il suo incarico);
6) che, pertanto, oggetto del giudizio di responsabilità doveva ritenersi la predicabilità o meno di "serie possibilità di successo" dell'azione inizialmente proposta dal N. con il ministero del G. se fisiologicamente condotta sino a sentenza;
7) che la risposta doveva dirsi positiva, in applicazione delle regulae iuris e degli orientamenti giurisprudenziali i tema di negoziazione di assegni circolari, essendo, nella specie, prima facie configurabile una responsabilità aquiliana della Cassa di risparmio Rurale di Xitta, che aveva pagato l'assegno circolare in base ad una girata all'evidenza falsa: era, difatti, nozione di comune esperienza quella secondo cui le banche non sono solite apporre girate su assegni circolare a loro stesse intestate, mentre nessun concorso del N. nell'irregolare circolazione del titolo era concretamente riscontrabile (avendo egli consegnato l'assegno al legale rappresentante della società Drenano al fine di estinguere l'ipoteca gravante sul suo immobile, con ciò mostrando di riporre nel comportamento della venditrice un legittimo affidamento);
8) che la liquidazione del danno andava improntata a più ristretti criteri rispetto a quelli indicati dal N., poiché l'esito favorevole del giudizio presupposto non avrebbe potuto comunque coprire sia l'ammontare del titolo (55 milioni di lire) che l'importo (75 milioni di lire) corrisposto per estinguere la pendenza con il credito fondiario, atteso che la somma indicata nell'assegno in contestazione era effettivamente dovuta dal N. per la cancellazione dell'ipoteca, sì che al medesimo doveva essere riconosciuto il diritto alla restituzione della sorte pagata in esubero in conseguenza dell'erroneo pagamento dell'assegno nella (sola) misura di 75 milioni, una diversa e maggiore liquidazione risolvendosi, viceversa, in una indebita locupletazione per il creditore;
9) L'avv. G. che, non coltivando quel giudizio, aveva pregiudicato il conseguimento di tale utile risultato al proprio cliente, andava pertanto condannato al pagamento, in favore di quest'ultimo, della somma (equivalente a L. 75 milioni) di Euro 38.734, somma al cui versamento doveva dirsi tenuta, in accoglimento della domanda di garanzia proposta dal professionista, la sua compagnia assicuratrice Unipol.
La sentenza della corte di appello siciliana è stata impugnata dal G. con ricorso per cassazione sorretto da 5 motivi di gravame.
V. N. si è costituito con controricorso, al pari della Unipol, che ha proposto a sua volta ricorso incidentale sorretto da 5 motivi di doglianza.
Ad esso resiste il G. con controricorso.
Quest'ultimo ha altresì depositato tempestiva memoria.
In diritto
I ricorsi, principale e incidentali, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti.
Essi sono infondati.
il ricorso principale.
Con il primo motivo, si denuncia violazione ed errata applicazione di norme di diritto (artt. 106, 112, 303 c.p.c.; 1170, 1703, 1710, 2230 c.c.); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.
Il motivo è infondato.
La doglianza, che reitera quella già esposta dinanzi al giudice territoriale e da questi del tutto legittimamente rigettata, non ha alcun pregio giuridico, atteso che la riassunzione del processo interrotto andava comunque eseguita (per costante giurisprudenza di legittimità (Cass. 17557/2002 ex multis) nei confronti di tutte le parti in causa, e non soltanto con riguardo all'originario convenuto Banco di Sicilia, vero il principio di diritto secondo cui "l'atto riassuntivo del processo, essendo volto a provocare la ripresa di questo nello stato in cui si trovava al momento dell'evento interruttivo, deve essere notificato a tutte le parti costituite" restando esclusa la notificazione medesima al solo contumace (e ciò a prescindere da ogni osservazione in ordine al tipo di rapporto processuale litisconsortile instauratosi tra Banco di Sicilia e chiamato in garanzia).
Con il secondo e terzo motivo, si denuncia violazione ed errata applicazione di norme di diritto (artt. 112 c.p.c, 1223, 1227, 2230, 2943, 2945, 2946 c.c.; 86 RD 1736/1933); violazione dei principi generali in tema di responsabilità del prestatore d'opera intellettuale; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.
Con il quarto motivo, si denuncia ancora violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1223, 1225, 1227, 2230, 2697 c.c); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, attesane la intrinseca connessione, non hanno fondamento.
La corte d'appello palermitana ha, da un canto, correttamente e positivamente ricostruito gli estremi della ritenuta responsabilità del professionista secondo un giudizio probabilistico ex ante, mentre, dall'altro, altrettanto legittimamente escludeva la configurabilità di qualsivoglia colpevole concorso del N. nella verificazione dell'evento, con una motivazione scevra da qualsivoglia vizio logico-giuridico, che questa corte ritiene di condividere integralmente. Tutte le doglianze, sì come articolate, pur lamentando formalmente vizi di legge e un difetto di motivazione, si risolvono, in sostanza, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, si volge in realtà ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte di merito muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perché la valutazione delle risultanze probatorie (non meno che il giudizio probabilistico sulla verificazione o mancata verificazione di un fatto storico) così come la scelta, fra esse, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e ipoteticamente verosimili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva. È principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita una nuova valutazione delle (ormai cristallizzate quoad effectum) risultanze fattuali del processo ad opera di questa Corte, onde trasformare surrettiziamente il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che la fungibilità nella ricostruzione di un fatto fosse ancora legittimamente invocabile in seno al giudizio di Cassazione.
Con il quinto motivo, si denuncia, infine, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362 ss., 1917 c.c., 91 c.p.c.); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.
La doglianza, relativa alla disciplina delle spese sì come rettamente regolate dal giudice del merito (in ossequio al criterio della discrezionalità motivata) quanto ai rapporti tra ricorrente e chiamato in garanzia, è inammissibile.
il ricorso incidentale.
Con il primo motivo, si denuncia una pretesa erroneità del capo di sentenza che ha pronunciato l'obbligo di manleva in relazione all'intera somma liquidata a titolo risarcitorio. Omessa pronuncia.
La doglianza è inammissibile sotto il duplice profilo della omessa indicazione delle disposizioni di legge che si assumono violate e dell'omessa trascrizione, in parte qua, del documento posto a fondamento della doglianza stessa (la polizza assicurativa contenente franchigia) in evidente spregio del noto principio dell'autosufficienza del ricorso.
Con il secondo motivo, si denuncia una pretesa violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 102 e 106 c.p.c.; 112 c.p.c.).
Il motivo è inammissibile.
Esso propone, difatti, questioni che non risultano oggetto del decisum di secondo grado, omettendo peraltro di indicare (in ulteriore violazione del citato principio di autosufficienza) in quale stato e grado del giudizio di merito esse siano state tempestivamente posposte e illegittimamente disattese o pretermesse.
Con il terzo motivo, si denuncia una ulteriore violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 112 c.p.c.).
Il motivo è, al pari di quello che precede, del tutto inammissibile per difetto di autosufficienza, omettendosi ancora una volta di riportare gli atti del processi di merito dai quali desumere il declamato vizio di ultrapetizione (e la conseguente, indimostrata "correzione" operata dalla corte territoriale rispetto all'originaria editio actionis da parte del N.).
Con il quarto, quinto e sesto motivo, si denuncia violazione ed erronea applicazione degli art. 1223 e 1227 c.c.; 2230, 2943, 2945, 2946 c.c.; 86 legge assegno.
Essi sono del tutto infondati, per le medesime ragioni che hanno condotto al rigetto dei corrispondenti motivi esposti dal ricorrente principale sul tema dell'accertamento in fatto della causalità probabilistica tra condotta ed evento di danno e dell'esclusione di ogni forma di colpevole corresponsabilità del creditore nella verificazione dell'evento medesimo, nonché (va aggiunto) sulla correttezza del procedimento logico che ha condotto il giudice territoriale alla adottata quantificazione del danno.
I ricorsi, principale e incidentale, sono, pertanto, rigettati.
La disciplina delle spese (che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate) segue come da dispositivo.
P.Q.M.
La corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.