giovedì 15 maggio 2008 - Pubblicazione a cura di Francesco Morelli
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma 8-bis, del codice di procedura penale, in considerazione del fatto che il difensore può legittimamente rifiutare le notifiche rivolte al proprio assistito (dichiarando tempestivamente all'autorità procedente di non accettare la notificazione), e che l'imputato può eleggere domicilio nella sua dimora abituale, determinando in tal modo l'inapplicabilità della norma censurata.
SENTENZA N. 136
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Franco GALLO ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma 8-bis, del codice di procedura penale (aggiunto dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17, recante: «Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna», convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 2005, n. 60), promossi con ordinanze del 21 ottobre 2005 e del 20 novembre 2006 dal Tribunale di Firenze, iscritte, rispettivamente, al n. 447 del registro ordinanze 2006 ed al n. 617 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria del 2 novembre 2006, prima serie speciale, dell'anno 2006 e n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1.− Con due ordinanze di tenore sostanzialmente analogo, depositate il 21 ottobre 2005 (r.o. n. 447 del 2006) e il 20 novembre 2006 (r.o. n. 617 del 2007), il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli articoli 111, terzo comma, e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma 8-bis, del codice di procedura penale (aggiunto dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17, recante: «Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna», convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 2005, n. 60), nella parte in cui prevede, nei confronti dell'imputato non detenuto, che la notificazione di tutti gli atti processuali successivi al primo, e quindi anche del decreto di citazione a giudizio, sia eseguita presso il difensore di fiducia.
I giudizi principali sono stati introdotti mediante decreti di citazione diretta emessi dal pubblico ministero, con i quali sono contestati i reati di cui agli artt. 110 e 316-ter del codice penale (r.o. n. 447 del 2006) e agli artt. 110 e 640 cod. pen. (r.o. n. 617 del 2007).
1.1. – Nel giudizio cui si riferisce l'ordinanza r.o. n. 447 del 2006, in fase di verifica della costituzione delle parti, la difesa di due imputati non comparsi si è opposta alla dichiarazione di contumacia dei predetti e, dopo aver rilevato che la notifica del decreto di citazione era stata effettuata ai sensi dell'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., ha eccepito l'illegittimità costituzionale della norma citata, in quanto la previsione generalizzata della notificazione degli atti successivi al primo presso il difensore di fiducia dell'imputato non detenuto impedirebbe, allo stesso imputato, «di conoscere compiutamente l'accusa e di esercitare pienamente la sua difesa».
Il rimettente, dopo aver riferito che gli altri difensori si sono associati all'eccezione e che «il PM si è dichiarato remissivo», osserva che la questione è rilevante a fini di verifica della corretta instaurazione del rapporto processuale, essendo evidente che all'accoglimento della stessa seguirebbe l'ordine di rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio, mentre in caso di rigetto dovrebbe essere dichiarata la contumacia degli imputati non comparsi.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva come la norma censurata abbia introdotto una modalità di notificazione strutturata sulla duplice circostanza dell'«essere avvenuta una prima notifica all'imputato secondo le forme ordinarie e l'essere intervenuta da parte dell'imputato la nomina di un difensore di fiducia», da cui il ragionevole affidamento che, nell'ulteriore corso del procedimento a suo carico, l'interessato sia informato di quanto accade attraverso il rapporto con il difensore. Tuttavia, poiché tale affidamento avrebbe «natura di un ragionamento ipotetico», non potrebbe escludersi, a giudizio del rimettente, che in alcuni casi «il rapporto difensore-assistito non comporti una integrale conoscenza da parte del secondo degli atti del procedimento che vengono via via notificati presso il difensore».
La descritta situazione di «non piena certezza» della conoscenza dell'atto da parte dell'indagato assumerebbe, secondo il giudice a quo, particolare significato nel caso della notifica del decreto di citazione a giudizio, con il quale è promossa l'azione penale, e ciò sul presupposto che la conoscenza dell'atto introduttivo del dibattimento assuma valenza «nettamente diversa e superiore» rispetto a quella di altri atti (sono indicati, in via esemplificativa, la convalida del sequestro e l'avviso di conclusione delle indagini), in quanto da esso l'interessato apprende con certezza qual è l'accusa ipotizzata a suo carico ed è quindi messo in condizione di preparare un'adeguata difesa.
La previsione generalizzata della notificazione presso il difensore di fiducia per gli atti del procedimento successivi al primo, senza distinguere il contenuto degli atti stessi, porrebbe la norma censurata in contrasto con il principio sancito dall'art. 111, terzo comma, Cost., il quale esige che l'imputato sia informato della natura e dei motivi dell'accusa a suo carico e che disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la difesa, nonché con il principio di effettività della difesa (art. 24 Cost.).
Il rimettente non ritiene, infine, che il prospettato contrasto possa essere escluso in ragione della possibilità, contemplata nella medesima disposizione, che il difensore non accetti le notifiche, con dichiarazione resa immediatamente all'autorità procedente, e renda perciò inapplicabile il meccanismo censurato: così opinando si finirebbe per attribuire alla scelta discrezionale del difensore la capacità di incidere, in senso riduttivo, sui diritti costituzionalmente riconosciuti all'imputato.
1.2. – Nel giudizio introdotto con l'ordinanza r.o. n. 617 del 2007 la scansione dei fatti processuali riferiti dal rimettente, i rilievi argomentativi e la prospettazione della questione sono in tutto identici a quelli già sintetizzati, in riferimento al primo giudizio, al paragrafo 1.1., al quale si rinvia.
2. – In entrambi i giudizi, con atti depositati rispettivamente il 22 novembre 2006 e il 9 ottobre 2007, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
2.1. – Nell'atto di intervento riguardante il giudizio introdotto con l'ordinanza r.o. n. 447 del 2006, la difesa erariale eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto il rimettente Tribunale in composizione monocratica risulterebbe all'evidenza incompetente a conoscere del reato previsto dall'art. 316-ter cod. pen., attribuito alla cognizione dell'organo collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis, lettera b), cod. proc. pen.
In ogni caso, ad avviso della difesa erariale, la questione sarebbe infondata.
La norma censurata, secondo l'Avvocatura generale, presuppone che il rapporto fiduciario difensore-assistito si svolga secondo canoni fisiologici, nel qual caso non è ipotizzabile che l'assistito non venga reso edotto della circostanza che nei suoi confronti è stato emesso decreto di citazione a giudizio. Qualora, invece, tale fisiologia difetti, come nelle ipotesi di interruzione del rapporto fiduciario o di colpevole inerzia del difensore, ovvero nel caso si determini una impossibilità di comunicazione tra i predetti soggetti, anche non dovuta a colpevole inerzia del difensore o dell'assistito, soccorre la previsione contenuta nell'art. 175 cod. proc. pen. (come modificato dal decreto-legge n. 17 del 2005), che consente la rimessione in termini del contumace e con essa il ripristino del diritto di difesa nella sua pienezza ed effettività.
Pertanto, facendo riserva di ulteriormente illustrare le proprie ragioni, l'Avvocatura generale conclude per la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di non fondatezza della questione.
2.2. – Nell'atto di intervento riguardante il giudizio introdotto con l'ordinanza r.o. n. 617 del 2007, con riferimento al merito della questione, la difesa erariale ripropone le medesime argomentazioni e conclusioni già sintetizzate al paragrafo 2.1., al quale si rinvia.
Considerato in diritto
1. − Il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con due ordinanze, ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, terzo comma, e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma 8-bis, del codice di procedura penale (aggiunto dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17, recante: «Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna», convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 2005, n. 60), nella parte in cui prevede, nei confronti dell'imputato non detenuto, che la notificazione di tutti gli atti processuali successivi al primo, e quindi anche del decreto di citazione a giudizio, sia eseguita presso il difensore di fiducia.
2. – Le ordinanze di rimessione sollevano la medesima questione e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione.
3. – Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità avanzata dalla difesa erariale, in riferimento al giudizio introdotto con l'ordinanza r.o. n. 447 del 2006, e fondata sulla presunta incompetenza del giudice rimettente.
Il principio di autonomia del giudizio incidentale di legittimità costituzionale rispetto al processo principale implica che nel primo possano avere rilievo soltanto vizi macroscopici del secondo, rilevabili ictu oculi e tali da far ritenere la sicura invalidità di quest'ultimo (ex plurimis, sentenze n. 27 del 2006 e n. 279 del 2007). Nel caso di specie non viene segnalata una incompetenza in senso proprio del giudice a quo, ma un difetto di attribuzione, in quanto la cognizione del procedimento spetterebbe ugualmente al Tribunale di Firenze, ma in composizione collegiale e non monocratica. La violazione delle norme in materia di attribuzione può essere eccepita dalle parti o rilevata d'ufficio, a pena di decadenza, entro l'udienza preliminare, o, se quest'ultima manca, entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1, cod. proc. pen. e quindi subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti (art. 33-quinquies, cod. proc. pen.). Poiché il processo principale è stato sospeso a causa dell'incidente di costituzionalità prima che fosse scaduto il termine utile per la rilevazione (previa eventuale eccezione di parte) del vizio concernente l'attribuzione del procedimento, non si può ritenere sin d'ora insanabilmente viziato il giudizio a quo, sostituendo la valutazione di questa Corte all'iniziativa delle parti e comunque alla decisione che il giudice del processo principale riterrà di dover adottare.
4. – Nel merito, la questione non è fondata.
La norma censurata si ispira all'esigenza di bilanciare il diritto di difesa degli imputati e la speditezza del processo, semplificando le modalità delle notifiche e contrastando eventuali comportamenti dilatori e ostruzionistici. La scelta del legislatore è caduta sulla valorizzazione del rapporto fiduciario tra l'imputato ed il suo difensore, fermo restando che il primo atto del procedimento deve essere notificato comunque nelle forme ordinarie. Tale scelta non è lesiva dei diritti dell'imputato, in quanto la nomina del difensore di fiducia implica l'insorgere di un rapporto di continua e doverosa informazione da parte di quest'ultimo nei confronti del suo cliente, che riguarda ovviamente, in primo luogo, la comunicazione degli atti e delle fasi del procedimento, allo scopo di approntare una piena ed efficace difesa. Il difensore può peraltro sottrarsi all'onere ed alla responsabilità di realizzare questa puntuale attività comunicativa verso il proprio assistito, dichiarando immediatamente e preventivamente di non accettare le notificazioni indirizzate a quest'ultimo. In tal caso l'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen. non è applicabile e si procede alle notifiche nelle forme ordinarie.
Anche l'imputato può rendere inapplicabile la norma censurata, mediante dichiarazione del domicilio o sua elezione presso un qualunque soggetto, e ciò in ogni fase del procedimento, posto che la giurisprudenza di legittimità si è orientata, anche con una recentissima pronuncia delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione, nel senso che la manifestazione di volontà della parte prevale sulla domiciliazione legale per ogni notifica ad essa successiva.
Infine, si deve osservare che l'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nel testo attualmente vigente, consente all'imputato, in caso di dichiarazione di contumacia, la rimessione in termini per proporre impugnazione, ove non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento che lo riguarda.
Questa Corte ha già chiarito che non vi è una assoluta incompatibilità delle presunzioni legali di conoscenza con le garanzie di difesa e che non può negarsi che il legislatore possa presupporre un onere di diligenza a carico del destinatario delle notificazioni, che gli impone una certa forma di cooperazione (sentenza n. 211 del 1991). A maggior ragione un minimo di cooperazione è richiesto al difensore di fiducia, nel caso in cui, pur avendo la possibilità di rifiutare le notificazioni ai sensi dell'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., accetti di riceverle e si accolli pertanto l'onere di mantenere costantemente e compiutamente informato il proprio cliente.
Deve anzi ritenersi che, proprio per effetto della norma censurata, il difensore nominato di fiducia sia gravato anche dal compito di rendere edotto il proprio assistito delle conseguenze che, in assenza di elezione o dichiarazione di domicilio, la stessa nomina comporta circa le modalità di notificazione degli atti del procedimento. L'adempimento di tale dovere professionale costituisce garanzia del buon funzionamento del rapporto fiduciario a fini specifici di efficacia delle future notifiche.
Ove poi l'imputato si rendesse irreperibile anche per il proprio difensore, ciò sarebbe, di norma, l'indice del suo disinteresse alla partecipazione attiva al processo.
5. – Quanto alla richiesta del giudice rimettente di estrapolare la notifica del decreto di citazione a giudizio dagli altri atti del processo e di dichiarare inapplicabile solo a questa l'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., a causa della sua particolare importanza, si deve osservare che risulta priva di fondamento la pretesa di distinguere gli atti del procedimento, quanto alla necessità della loro effettiva conoscenza da parte dell'imputato, poiché l'esercizio del diritto di difesa non è graduabile e deve ugualmente esplicarsi per tutto il corso del procedimento stesso. Tanto meno una simile graduazione potrebbe essere compiuta da questa Corte, una volta accertato che la normativa censurata non è lesiva in generale dei parametri costituzionali denunciati.
6. – In definitiva, la norma censurata assicura le condizioni minime sufficienti a garantire una corretta e tempestiva informazione dell'imputato su tutti gli atti processuali che lo riguardano. Tale disciplina non è peraltro vincolante in modo incondizionato, poiché resta pur sempre aperta la possibilità di avvalersi delle forme ordinarie di notifica degli atti sia per iniziativa del difensore, il quale, come si è visto, può dichiarare all'autorità procedente di non accettare la notificazione, sia per iniziativa dell'imputato, che può eleggere domicilio nella sua dimora abituale, determinando in tal modo l'inapplicabilità della norma censurata.
Il diritto dell'imputato ad essere informato ed il suo diritto di difesa rimangono pertanto sufficientemente garantiti. Non si ravvisano, di conseguenza, le violazioni degli artt. 111, terzo comma, e 24 Cost. denunciate nell'ordinanza di rimessione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma 8-bis, del codice di procedura penale (aggiunto dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17, recante: «Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna», convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 2005, n. 60), sollevata, in riferimento agli artt. 111, terzo comma, e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA