Questione tanto più dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza a causa del silenzio legislativo sul punto.
1. Il caso
I ricorrenti nel giudizio di primo grado, proclamandosi promittenti alienanti dell’immobile per cui era causa, proponevano domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. a fronte dell’inadempimento di controparte nell’addivenire alla conclusione del contratto definitivo. I promissari acquirenti resistevano in giudizio sostenendo che l’accordo stipulato con i promittenti venditori fosse, invero, non un contratto preliminare, bensì una semplice puntuazione priva di effetti obbligatori e pertanto insuscettibile di esecuzione in forma specifica.
Sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, l’accordo originario, qualificato come “preliminare di preliminare”, veniva ritenuto nullo poiché mancante di causa propria ed autonoma.
I promittenti venditori, soccombenti, propongono ricorso per cassazione, sostenendo una interpretazione di segno nettamente contrario a quella avallata dai giudici di merito, in particolare quella che, facendo leva sulla plausibilità di un interesse delle parti alla creazione di un “impegno provvisorio”, conclude per la ammissibilità e la liceità del preliminare di preliminare.
La Sezione assegnataria, stante il contrasto giurisprudenziale, rimette la questione alle Sezioni Unite.
2. Il commento
La problematica sottoposta all’attenzione del Supremo Collegio concerne la sottile linea di confine esistente tra atto preparatorio e vero e proprio contratto preliminare. Si tratta di stabilire se ed eventualmente in che limiti possa trovare ingresso nell’ordinamento un accordo negoziale che rimandi le parti o le obblighi ad un contratto preliminare propriamente detto.
Lo spessore del tema si deve all’evoluzione della contrattazione immobiliare e al frequente inserimento di figure professionali di mediazione nell’ambito della stessa. La complessità dei contatti tra le parti, in specie la necessità di assumere elementi di conoscenza sulla controparte e di verificare lo stato della res, rendono sovente difficoltoso raggiungere repentinamente un accordo; pertanto, accade spesso che il contratto definitivo sia preceduto non da uno soltanto, ma da più di un incontro di volontà tra i soggetti interessati alla stipula. La giurisprudenza negli ultimi anni ha avuto il compito di qualificare tali segmenti della formazione contrattuale.
L’ipotesi che si esamina, in definitiva, è quella in cui, dopo che in una prima fase in cui la volontà dell’aspirante acquirente, manifestatasi nell’offerta del corrispettivo, incontra l’accettazione dell’alienante, le parti decidano di stipulare il contratto preliminare, per poi addivenire alla conclusione del contratto definitivo.
Premessa tale tripartizione, si è posto il problema se entrambi i passaggi antecedenti alla stipula del contratto definitivo potessero essere inquadrati nella figura del contratto preliminare, ammettendosi così la configurabilità del c.d. preliminare di preliminare o se, al contrario, i principi generali dell’ordinamento giuridico vi ostino.
Prima dell’intervento delle SS.UU., sono stati elaborati entrambi gli orientamenti, quello favorevole e quello contrario all’ammissibilità della figura de quo.
Un indirizzo dottrinario e giurisprudenziale si era mosso a sostegno del preliminare di preliminarenella convinzione che il contratto preliminare come dipinto dal codice civile sia una figura giuridica “neutra” e come tale capace di contenere qualsiasi successivo contratto.
In seno alla corrente favorevole, parte della dottrina concepiva pacificamente due preliminari successivi l’uno all’altro ma a condizione che fossero differenti. Argomentando ex art. 1322 c.c., essa sosteneva che le parti potrebbero reputare opportuno scindere il preliminare tra una prima ed una seconda fase. Senza porsi alcuna questione di nullità, i due contratti preliminari avrebbero, più nel dettaglio, funzione e contenuto diversi: il primo, contenente i soli elementi essenziali del negozio, quella di creare un vincolo immediato tra le parti, con l’obbligo di stipulare un successivo e più completo, preliminare; il secondo, invece, sarebbe orientato alla compiuta regolamentazione dell’affare, fermo l’obbligo di stipula del contratto definitivo.
Di segno opposto la tesi secondo cui una volta che le parti hanno concluso il contratto preliminare impegnandosi a stipulare il definitivo, sarebbe priva di senso la conclusione di altro contratto preliminare dal contenuto identico, in quanto priva di giustificazione causale. Secondo tale orientamento, il contratto in virtù del quale le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori - ovvero un contratto preliminare di preliminare - è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l’interesse di obbligarsi ad obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione (Cass. n. 8038/2009). Si precisava, altresì, che l’art. 2932 c.c. instaura un diretto e necessario nesso strumentale tra il contratto preliminare ed il definitivo destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti; pertanto, riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di “obbligarsi ad obbligarsi” ad ottenere l’effetto finale, darebbe luogo ad un’incongruente superfetazione, non sorretta da alcun interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente (Cass. n. 1955/2009).
3. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite adottano una soluzione che appare effettivamente di compromesso, in quanto ripudia sia una totale chiusura del sistema alla figura in esame, sia un suo ingresso nel panorama giuridico senza limiti ed eccezioni.
Riepilogando le opinioni contrastanti sull’argomento, il Collegio conviene sul fatto che il c.d. preliminare di preliminare sia un contenitore giuridico capace di includere sia figure contrattuali atipiche, alle quali corrisponde una causa concreta meritevole di tutela, sia stadi prenegoziali avanzati. In tutti i casi, le parti decidono di concludere un accordo prima del vero e proprio preliminare quando sono consapevoli che la situazione non è matura per l’assunzione del vincolo contrattuale vero e proprio.
“La procedimentalizzazione delle fasi contrattuali non può di per sé ritenersi connotata da disvalore, se corrisponde ad un complesso di interessi che stanno realmente alla base dell’operazione negoziale”, si legge in sentenza.
Negare tout court validità e prima ancora esistenza al preliminare di preliminare significa, allora, sopprimere l’autonomia privata e trascurare che particolari interessi delle parti, soprattutto nel settore della negoziazione immobiliare, potrebbero necessitare di un frazionamento delle fasi negoziali. Sull’opposto versante, tuttavia, ammettere senza limiti tale ingresso rischierebbe di frustrare il principio di meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti e della giustificazione causale degli spostamenti di ricchezza.
Nell’impianto della sentenza n. 4628/2015, l’ammissibilità del “preliminare del preliminare” poggia, come è evidente,sul concetto di meritevolezza degli interessi perseguiti nell’ambito di una formazione progressiva del contratto. In una contrattazione immobiliare scandita in più fasi, ad un accordo iniziale delle parti il giudice potrà dare la qualificazione di preliminare qualora con esso i contraenti si siano obbligati a concludere un altro contratto preliminare, a condizione che emerga un interesse ad una formazione progressiva dell’accordo basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali.
In altri termini, con la prima stipulazione le parti potrebbero stabilire i punti salienti dell’impegno obbligatorio e con la seconda puntualizzare nel dettaglio tutti gli elementi della futura alienazione, da realizzare, definitivamente, con l’atto pubblico.
Pertanto, di nullità per difetto di causa potrebbe parlarsi solo in riferimento al caso in cui le parti si siano obbligate a stipulare un contratto preliminare successivo ma di identico contenuto all’accordo precedente; una tale procedimentalizzazione allungherebbe inutilmente i tempi di realizzazione dell’assetto di interessi, con evidenti negative ripercussioni sulla certezza e sulla celerità dei traffici giuridici.
La rilevanza dell’iniziale accordo intercorso tra le parti emerge altresì dalla risposta dell’ordinamento alla sua inosservanza. Concludono, infatti, le Sezioni Unite affermando che la sua violazione, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando. Tale responsabilità, derivando dalla rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale, ha natura contrattuale.
DOTT.SSA DALILA DELL’ITALIA